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"Solo a Piacenza quasi 1.000 infrotuni sul lavoro riconducibili al Covid, ma non è il solo rischio" di Bruno Carrà, responsabile Dipartimento Salute e Sicurezza 
Ormai quasi un anno è trascorso dall’inizio di questa difficilissima fase che il nostro Paese sta vivendo causa l’avvio e il perdurare nelle nostre città in maniera diffusa dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, che ha colpito tantissime persone in Italia e nella nostra provincia.
La pandemia potrà essere sconfitta solo se verrà sempre più considerata come una questione collettiva, dell’intero tessuto sociale e non individuale.
Pertanto nel minor tempo possibile è necessario sottoporre a vaccinazione il maggior numero di persone, senza escludere nessuna fascia della società, e al contempo garantire un’informazione adeguata e diffusa in modo corretto, il tutto utile ad una puntuale gestione e contrasto della pandemia con risposte che favoriscano la ripresa.
Il piano di vaccinazione del Paese è partito con qualche ritardo di troppo, ma l’immunizzazione di massa è certo che serve a garantire il diritto alla salute ed è indispensabile a far ripartire pienamente il Paese.
La tutela della salute richiede il coinvolgimento partecipativo di tutti in quanto la speranza per l’efficacia del vaccino non deve far abbassare la guardia nei confronti di questa crisi sanitaria, per il semplice motivo che la sanità è un bene comune.
L’esperienza drammatica che abbiamo tutti sotto gli occhi poi non dovrebbe lasciare equivoci né dubbi: l’unica via sanitaria possibile per sconfiggere questo virus è quella pubblica con la sua programmazione, probabilmente da meglio definirsi e rafforzarsi, insieme ad un’implementazione generale della medicina territoriale, anche se qui il tema è immenso.
L’Emilia Romagna è stata altresì riconosciuta la prima regione italiana per efficienza del sistema sanitario.
A stabilirlo è l’Indice di Performance Sanitario realizzato dall’Istituto Demoskopica, a riprova che investire tramite interventi pubblici a favore della salute dei cittadini è importante. 
E’ pur vero che ci sono state, innegabilmente, gravi ripercussioni sulla situazione economica piacentina causa la crisi pandemica ancora attualmente presente e per certi versi anche oscura se si pensa alle varianti virali che di recente sono intervenute.
La grande preoccupazione rimane per la crisi che ha colpito in maniera significativa alcuni settori (più di altri) a causa delle limitazioni imposte dalla pandemia e a questo bisogna continuare a porre particolare attenzione per mantenere il più possibile i livelli occupazionali pre crisi sanitaria e per la ripresa delle attività.
Bisogna prendere atto della fotografia della realtà e interpretarla con realismo: per questo deve proseguire il blocco dei licenziamenti (conquista del sindacato confederale) e la riforma degli ammortizzatori sociali, in considerazione del fatto che bisogna assolutamente nel 2021 evitare una catastrofe economica sociale, e tutto questo si può realizzare solo coinvolgendo tutto il mondo del lavoro e il Paese con tutte le sue territorialità, al fine di contrastare una crisi sociale aperta.
Appare evidente che il confronto su tutto questo insieme a quello per l’avvio di politiche attive sul lavoro viene frenato dall’attuale instabilità politica che crea inevitabilmente stallo istituzionale nella discussione, cosa che rischia di allontanare sempre di più la politica dalle persone che rappresentiamo.  
A Piacenza impressionante è il dato che indica che per il 2020 le ore di Cassa Integrazione Guadagni autorizzate sono 14 milioni e passa in più delle ore erogate nel 2019.
Nella provincia di Piacenza sempre nell’anno 2020 hanno chiuso 1.347 aziende, di cui gran parte a seguito dell’emergenza Coronavirus (Dati Union Camere).
Questi dati danno bene (e altri se ne potrebbero citare) della difficile situazione che è in atto.
La mia intenzione è però di riflettere e soffermarmi su altra questione, e cioè che dentro questa grave situazione sanitaria c’è sicuramente un prezzo consistente pagato dal lavoro nei dati INAIL, come confermato anche dagli stessi dati INAIL di recente emersi.
Le denunce di infortunio sul lavoro complessivamente presentate all’INAIL sul territorio nazionale per il 2020 sino a tutto il mese di novembre sono poco più di 400.000 con una diminuzione di quasi 99 mila rispetto ai primi 11 mesi del 2019, cioè pari al - 16,7% (dati INAIL ndr).
Bisogna considerare allo scopo di ben comprendere tale diminuzione generale degli infortuni registrati, lo stop o comunque i rallentamenti occorsi nei luoghi di lavoro a ragione dell’insorgere della pandemia.
Il calo si è registrato pur in presenza nel 2020 delle denunce da infortunio sul lavoro a seguito dei contagi da Covid-19, sono infatti 131.090 i casi riconducibili alla cornice dei contagi sui luoghi di lavoro, e quindi derubricati come infortuni Covid che corrispondono al 23,7% delle denunce di infortunio pervenute in tutto il 2020 (sempre dati INAIL ndr.), pari altresì al 6,2% dei contagiati a livello nazionale comunicati all’Istituto Superiore della Sanità (ISS).
I dati dell’INAIL rilevati al 30 Novembre evidenziano sempre un decremento dei casi di infortuni succedutisi (dovuto al rallentamento della produzione in generale) sia in occasione di lavoro (-12,6%) sia in itinere cioè occorsi nel tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro (-38.5%).
Significativo poi appare il dato sempre rilasciato da INAIL che enuncia che quasi il 70% dei contagiati da infortunio sono compresi nella categoria, la più esposta e coinvolta, dei tecnici della salute nelle loro diverse qualifiche e professionalità, dai medici agli infermieri (la stragrande maggioranza) e altri, e certamente significativo è che all’interno di questi contagi 3 su 4 sono donne.
In questo scenario l’Emilia Romagna registrando 10.338 casi di infortuni in questa specie rappresenta il 7.9% degli infortuni da Covid sul totale nazionale.
Nella provincia di Piacenza si registrano 870 casi infortunistici riconducibili al contagio da Covid, ove 614 sono donne e 256 uomini (dati INAIL ndr) con un incidenza dell’8,4% sul dato regionale, su un totale di 5.037 infortuni di ogni genere complessivamente avvenuti nel nostro territorio.
Inoltre anche se il fatto può essere stato dimenticato o non pienamente riconosciuto ci sono donne e uomini che lavorando in tutto il 2020, e anche attualmente, hanno continuato a contribuire alla tenuta sociale ed economica del paese, rischiando anche in termini di salute sul lavoro.
Ricordo volentieri come nel nostro Paese ci sono state intere categorie e settori di lavoratori che hanno assicurato anche nei periodi più bui della prima ondata pandemica (e anche ora), i beni e i servizi necessari alla tenuta della comunità nazionale (e territoriale) e abbiano fatto da argine contro la disgregazione sociale innescata dalla pandemia, dalla grande distribuzione alla mobilità per fare pochi esempi.
Come sindacato abbiamo chiesto sempre dentro questa particolare situazione che le Aziende e le produzioni si fermassero ove solo si fossero determinate condizioni di insicurezza e dove non poteva realizzarsi la possibilità di lavorare in salute e sicurezza secondo i canoni del decreto stipulato all’uopo l’11 marzo scorso che stabiliva distanziamento, uso obbligatorio dei DPI, misure organizzative nello specifico e sanificazione.
Il confronto nel territorio della nostra realtà tra i vari soggetti che lo compongono (Istituzioni, Autorità e Parti Sociali) non è mai venuto meno; questo fatto ha consentito che il termometro della situazione sia sempre rimasto sotto controllo, così da rendere possibile la definizione di quei criteri indispensabili per sottoscrivere gli accordi che hanno potuto garantire la tutela della salute delle persone e dei lavoratori.
Ma anche ha consentito lo svolgimento dell’attività produttiva e lavorativa in condizioni di massima sicurezza al fine di rendere operativo quel programma articolato e rafforzato, ed un sistema di organizzazione del lavoro pensato per il bene di tutti e per la qualità della vita collettiva, dove la salute diventa ed assume la prima priorità, tenendo insieme anche il concetto di sviluppo.
In questo ambito e all’interno di quella precisa fase giudicammo subito in quel momento, dopo apposita trattiva, molto positivo il Protocollo nazionale siglato insieme a tutte le forze coinvolte sulla Salute e Sicurezza sul lavoro che regola e stabilisce le norme ed i comportamenti per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro e specificatamente quelle misure disciplinate in favore dei lavoratori per la loro salute e sicurezza, correlate proprio all’emergenza epidemiologica.
L’obiettivo in sostanza è stato quello di praticare una cultura dentro il nostro territorio a favore del concetto della salute e sicurezza del lavoro dentro la società e nel mercato del lavoro, in maniera tale che ci fosse il rispetto delle norme sanitarie predisposte e il diritto ad avere un ambiente di lavoro sicuro e salubre a tutti i livelli, consapevoli dell’importanza della questione e anche del fatto che per garantire tutto questo occorra vigilare perché da questo non si deroghi.
Su questa questione come CGIL siamo stati attenti attraverso l’intervento e l’azione dei nostri RLS affinché le direttive emanate fossero attuate e rispettate nei vari contesti stabiliti.
Tutti gli attori pertanto devono continuare a fare la loro parte anche ora, le Istituzioni, i sindacati ma anche i datori di lavoro che sono i primi responsabili della salute dei lavoratori dentro i luoghi di lavoro.
E’ interessante sottolineare anche come il decreto 81 in generale sia da considerare come una buonissima legge che contempla molti casi, e possiamo dire anche questa inedita situazione che stiamo oggi affrontando, benché la normativa sia stata redatta e approvata in un’epoca precedente all’attuale.
Mi sento di dire questo perché ci si deve rendere conto che il Coronavirus, o Covid-19 non è l’unico agente biologico che sussiste come rischio all’interno dei luoghi di lavoro, e infatti proprio da questo punto di vista il titolo del D.Lgs 81 che affronta il rischio di agenti biologici è molto chiaro, molto fungibile, molto applicabile direi.
Vero è che altra cosa, poi, ovviamente è come la normativa viene in pratica declinata all’interno dei luoghi di lavoro e quali protezioni e disposizioni si adottano in merito, come ribadiamo il nostro impegno a non abbassare la guardia, restando saldamente e alacremente in campo su questi temi.
 
Bruno Carrà
Coordinatore Dipartimento Salute e Sicurezza sul Lavoro della Camera del Lavoro di Piacenza