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"Perché la Cgil è di nuovo in piazza per il lavoro e la difesa dei diritti" LETTERA aperta del segretario generale Gianluca Zilocchi
Perché la Cgil è di nuovo in piazza
per il lavoro e la difesa dei diritti

di GIANLUCA ZILOCCHI*
Il dibattito in corso sulla annunciata Riforma del Mercato del Lavoro, con la chiamata in causa del famigerato art. 18 quale causa primaria della mancata crescita del Paese, sta assumendo contorni e modalità che non esito a definire grotteschi.
Stiamo vivendo una crisi senza precedenti da ormai 8 anni, durante la quale le ricette di stampo neo liberiste hanno ampiamente mostrato tutti i limiti insiti in politiche volte esclusivamente al contenimento della spesa pubblica e alla riduzione delle tutele sociali, lavoro e pensioni in prima battuta.
Nessuno, nemmeno in questo Paese, sta davvero affrontando la vera questione che dovrebbe essere al centro della discussione e permettere un’efficace ripresa dell’economia complessiva, e cioè la creazione di Lavoro. Non si può pensare di proseguire sui filoni sperimentati in questi anni in Europa, redistribuendo il (poco) lavoro esistente senza avviare una seria politica di investimenti pubblici e privati in grado di crearne di nuovo: chi continua a prendere a riferimento la Germania e la Spagna non può sottacere che i dati positivi sull’occupazione mascherano in realtà l’aumento vertiginoso di rapporti part-time e di lavoro povero. In poche parole, non è lavorando di meno con retribuzioni ancora più basse che si risolvono le questioni della ripresa e dello sviluppo, il rischio è quello di creare sempre più povertà, come tutti i dati degli Osservatori indicano da tempo, e di restringere sempre più la domanda interna.
Un piano strutturale sull’occupazione e sulla creazione di nuovo lavoro e di contrasto alla povertà deve fondarsi sull’introduzione di una patrimoniale sulle grandi ricchezze, la lotta alla corruzione e all’evasione fiscale (180 Mld all’anno è il costo per il Sistema Italia) e il superamento del patto di stabilità interno.
Non si può ragionare di quali interventi il nostro Mercato del Lavoro necessita senza partire da questa analisi, perché una qualsiasi azione sulle regole rischia di diventare inefficace se non inserita in un contesto preciso ed accompagnata da operazioni strutturali di strategia complessiva.
E’ inaccettabile che di fronte a questi scenari si pensi di individuare le regole del mercato del lavoro e l’art. 18 quali cause del problema e uniche priorità sulle quali intervenire, magari con strumenti violenti come la decretazione, perché la reale urgenza del Paese è la creazione di posti di lavoro: le regole non hanno mai determinato e non possono determinare la crescita dell’occupazione, che si ottiene con una coerente politica espansiva ed affrontando il tema della diseguaglianza.
Per questo la CGIL avanza una piattaforma fondata sulla proposta della drastica riduzione della precarietà e dell’estensione di diritti e tutele a tutto il mondo del lavoro, con la ferma volontà di dialogare con le altre Organizzazioni Sindacali, la politica e tutte le forme della rappresentanza coinvolte sul tema. Nei Paesi europei, nei Paesi normali, le politiche del lavoro sono sempre state oggetto di confronto con le parti sociali. E al confronto la CGIL è, come sempre, pronta.
Il nuovo contratto a tutele crescenti a tempo indeterminato che viene proposto può rappresentare una scelta positiva di superamento della dualità solo se contestualmente verranno fortemente ridotte le tipologie di lavoro oggi esistenti, attraverso l’eliminazione delle forme più precarie e più odiose dal punto di vista della dignità e della sicurezza sociale.
Il mercato del lavoro in Italia può riformarsi affiancando al contratto a tempo indeterminato solo le seguenti forme di lavoro: contratto a tempo determinato con causali e ragioni oggettive, (a fronte della cancellazione dei contratti a termine senza causale, che diventerebbero direttamente concorrenti di questa tipologia come già oggi lo sono con il contratto a tempo indeterminato), apprendistato, somministrazione ed una sola forma di vero lavoro autonomo, definendo strumenti efficaci di contrasto al fenomeno delle false partite IVA.
Ma è evidente che tale strada è percorribile solamente a condizione che, terminato il periodo di prova del nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, vengano riconosciute tutte le tutele oggi previste per il licenziamento senza giustificato motivo o discriminatorio o disciplinare.
E’ ideologico teorizzare che sia l’art. 18 ad impedire la crescita delle imprese e che abolendo questo si possa ridare slancio all’occupazione. Com’è possibile ragionare di assunzioni partendo dal tema dei licenziamenti?
E’ ideologico mettere questi argomenti al centro del dibattito, costringendo il Paese ad uno scontro fuorviante, inutile e dannoso, anche in considerazione del fatto che un intervento sostanzioso e che in realtà ha già svuotato di parecchio il senso di questa norma è stato già attuato due anni fa con la Riforma Fornero.
E’ ideologico introdurre nella delega al lavoro temi quali il controllo a distanza dei lavoratori e del loro demansionamento (oggi vietati ai sensi dello Statuto dei Lavoratori). Cosa hanno a che fare queste materie con la necessità di riformare il mercato del lavoro? Quali spinta innovativa dovrebbe portare l’abolizione di queste norme di civilità?
Cancellare questi diritti, insieme all’art. 18, significa togliere dignità al lavoro, modificarne radicalmente il valore sociale e culturale, privandolo della funzione di realizzazione dell’individuo e della sua possibilità di emanciparsi all’interno della Società. Il lavoro che diviene una gentile concessione da parte di qualcuno e che in qualunque momento e per qualunque motivazione può venire a mancare.
E’ questo il modello a cui vogliamo ispirarci?
E’ davvero immaginabile che per superare il dualismo dell’attuale sistema, causato da Leggi e norme contro le quali la CGIL si è battuta strenuamente in questi anni spesso in perfetta solitudine, occorra eliminare e ridurre diritti e tutele?
Semmai è vero che il superamento della frammentazione nel mondo del lavoro si attua riconoscendo a tutti i lavoratori e le lavoratrici i diritti e le tutele universali, dal riconoscimento della tutela della maternità, della malattia e infortunio e del diritto al riposo, unitamente all’equo compenso che deve avere a riferimento i minimi stabiliti nei contratti nazionali di lavoro che dovranno essere erga omnes in virtù della necessità non più rinviabile di una Legge sui temi della rappresentanza e democrazia.
Il percorso di unificazione del mercato del lavoro necessita inoltre di un nuovo sistema di ammortizzatori sociali universali fondati su due pilastri: indennità universale (anche legata alla disponibilità alla formazione e al lavoro), e cassa integrazione ordinaria e straordinaria contribuita da imprese e lavoratori.
Una riforma a costo zero, in tal senso, è già possibile prevedendo l’allargamento della contribuzione anche a quella parte di imprese oggi escluse e che spesso sono le maggiori utilizzatrici degli strumenti di sostegno al reddito a carico della collettività.
Insieme ad un nuovo sistema di ammortizzatori occorre ripensare fortemente al ruolo dei Centri per l’Impiego, individuando le risorse adeguate necessarie per un loro rilancio, con un’idea sempre più centrale delle cosiddette politiche attive del lavoro.
In Germania sono 110.000 gli addetti pubblici ai servizi al lavoro, in Italia sono 8.600, di cui 1.500 circa precari: chi oggi predica bene promettendo un rilancio di questi servizi ha il dovere di spiegare con quali risorse intende finanziare questi interventi, ed è anche per questo motivo che la prossima Legge di Stabilità su cui sta lavorando il Governo sarà un altro importante banco di prova e sarà al centro delle nostre prossime iniziative.
È poi evidente che il processo di riunificazione del lavoro deve essere accompagnato da una forte contrattazione inclusiva, per questo va superato il blocco dei rinnovi dei contratti, a partire dai pubblici, respingendo i tentativi di destrutturazione del doppio livello e cancellando l’art. 8 della legge 148/11 che prevede la possibilità di derogare in peggio i contenuti degli accordi collettivi nazionali.
Questa è la nostra piattaforma, e questi sono i motivi per cui la CGIL ha indetto una grande manifestazione nazionale per sabato 25 ottobre in piazza San Giovanni a Roma, che tenga insieme giovani e pensionati, precari ed esodati e che non è né può essere intesa come una scelta di separazione da CISL e UIL.
La nostra piattaforma che tiene in valore quella unitaria su fisco e previdenza, è aperta al confronto e al contributo di tutti, come ferma è la volontà di confermare tutte le iniziative unitarie e di categoria, già programmate, (a partire dalla manifestazione dei lavoratori pubblici dell’8 novembre), convinti che sia da tutti sentita la necessità di riprendere e consolidare un cammino unitario.
Torneremo nelle piazze quindi, e ci saremo in tanti, per ricordare a tutti gli smemorati che ce lo chiedono dove eravamo in questi anni.
Eravamo nelle centinaia di piccole aziende in cui abbiamo salvato migliaia di posti di lavoro grazie agli accordi di cassa integrazione in deroga, un lavoro estenuante, difficilissimo ma che ha permesso in Emilia Romagna la tenuta complessiva dell’intero sistema sociale.
Eravamo a combattere contro la precarietà, facendo emergere tantissimi giovani da situazioni devastanti e facendo applicare i contratti e le Leggi del nostro Paese, Leggi non scritte dal Sindacato, ma dalla politica, quella politica che oggi ributta a noi le responsabilità che non ha il coraggio di assumersi.
Eravamo a rispondere alle necessità dell’esercito di donne e uomini, pensionati e pensionate che quotidianamente affollano i nostri uffici, in cerca di aiuto e tutele, a volte le più semplici, quelle primarie.
Eravamo a supplire anche ad un vuoto politico, cercando di arginare l’attacco ai diritti e alle conquiste dello Stato Sociale ed il dilagare di idee neoliberiste e che spesso hanno attratto anche le forze della sinistra.
Eravamo anche a scioperare, spesso da soli come CGIL, per denunciare per primi (2008) i rischi del declino produttivo ed occupazionale del Paese, per chiedere lavoro e diritti per tutti, in particolare per giovani e precari e per difendere e rinnovare il sistema di protezione sociale del Welfare e delle pensioni: su questi temi abbiamo organizzato negli ultimi 6 anni ben 6 scioperi generali da soli più altri tre insieme a CISL e UIL, senza contare tutte le mobilitazioni ed iniziative sviluppate dalle nostre Categorie.
Certo, abbiamo subìto anche sconfitte, ma le battaglie della CGIL di questi anni parlano da sole, a chi vuole ascoltare, e cercare di addossare le colpe della situazione in cui versa il Paese al Sindacato e ai lavoratori non è più accettabile.
*Segretario Generale CGIL Piacenza