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"Viva il lavoro, viva il sindacato dei lavoratori e viva la repubblica italiana democratica e antifascista" - L'orazione del segretario Cgil Piacenza Gianluca Zilocchi a Monticelli, Primo  Maggio 2016
 
È frequente in questo periodo storico che ci si chieda se ha ancora senso festeggiare il primo maggio
 E vista la situazione di questi anni, con la crisi,  le sofferenze,  i sacrifici, viene anche da chiedersi se ci sia rimasto ancora realmente qualcosa da festeggiare.
Ma sono le giornate come questa, con manifestazioni come questa, le risposte migliori e più efficaci a questi dubbi.
E quindi un grazie vero e sentito a tutti voi che anche quest'anno avevo voluto essere presenti ed essere protagonisti in questa piazza,  come a Piacenza,  come a genova, come nel resto d'italia.
Manifestazioni piene di vita, di storie vere, di donne e uomini che ancora oggi vogliono e riescono a mettere in piazza la dignità e l'orgoglio del
sapere che, nonostante i proclami, gli slogan, le rottamazioni e i modernismi, il
lavoro CHE resta il centro delle nostre esistenze, il bene supremo della nostra comunità e, non a caso, il primo articolo della nostra splendida costituzione.
È con il lavoro che si creano progresso e benessere per tutti, è con il lavoro che si abbattono le differenze e le diseguaglianze, ed è solo con il lavoro che un paese come il nostro, può progettare il proprio futuro, guardare avanti e in un momento come questo riuscire a costruirsi una via d'uscita dal tunnel della crisi.
Dare speranze ai nostri giovani, garantire le giuste tutele e le giuste protezioni per i nostri anziani, ecco, questo può essere il lavoro.
E il lavoro può essere sì dolore, sopraffazione ma è anche e soprattutto libertà, democrazia, possibilità di realizzarsi.
E sono questi i motivi che ancora oggi danno un senso alla giornata dedicata al lavoro ed ai lavoratori, il tenere alti l'orgoglio e la consapevolezza di essere la parte sana del paese, quella che può risollevarne le sorti, e che oggi scende in piazza per raccontare e per chiedere un cambiamento vero.
c'è una prima cosa che dobbiamo dire con nettezza, senza esitazione, anche alla luce dei dati che sempre di più lo dimostrano: ci dicono che la crisi è ormai alle spalle, che il peggio è superato, ci raccontano di un paese che non c'è, dove i giovani trovano lavoro e le imprese crescono. la verità INVECE è che questo paese è assolutamente immobile ed è incapace di costruire una qualsiasi strategia per guardare con fiducia al futuro.
I dati sull'occupazione, specialmente quella giovanile, sono netti, oggettivi.
Solamente a Piacenza nel corso del 2015 si registrano 600 occupati in meno rispetto all’anno precedente,
complice anche il fatto, terribile, che aumenta la sfiducia, aumenta la rassegnazione all’idea di non riuscire più a trovarlo un nuovo posto di lavoro. E, appunto,
ancora una volta è la popolazione giovanile a pagare il prezzo più alto e drammatico, con un aumento del 3% della disoccupazione sulla fascia di età dai 25 ai 34 anni.
Alla faccia delle riforme che secondo il governo dovevano finalmente sbloccare l’occupazione e rimettere in moto l’economia.
Non funziona cosi. Non ha funzionato.
Finiti i soldi per gli incentivi alle imprese, così come avevamo facilmente previsto, la macchina si è fermata.
Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato. Fine.
Non ci divertiamo nel prendere atto di questi dati, non ci divertiamo ad assistere all’inefficacia delle politiche che il governo ha progettato, preferiremmo ammettere che ci eravamo sbagliati.
Ma la realtà è che ancora una volta, ha prevalso l’idea che possa essere la riduzione del costo del lavoro o qualche tutela in meno, da sole, a risolvere i problemi e creare nuova occupazione.
La realtà è ben diversa, e lo diciamo dal primo giorno di questa crisi.
Il lavoro non si crea da sé, per decreto, o regalando miliardi di euro alle imprese in modo indiscriminato dicendo loro “adesso fate voi”.
Il lavoro non si crea dando l’idea alle imprese di aver mano libera sui licenziamenti, che poi ci credono sul serio e li fanno davvero, anche in questa regione con i nostri delegati sindacali licenziati per rappresaglia, come negli anni 50.
Non sono i voucher lavoro da 10 euro in vendita nelle tabaccherie a creare lavoro.
Nel 2015 sono stati venduti qualcosa come 1 milione e mezzo di questi voucher in italia e la tendenza nel 2016 è per un’ulteriore crescita. Non si crea lavoro così, si creano precarietà e sfruttamento e si perde dignità.
Ecco dove siamo arrivati.
Il lavoro si crea facendo scelte politiche chiare e nette sulle prospettive produttive del Paese, occorrono investimenti, anche pubblici, per rimettere in moto la macchina ed uscire dal triste declino a cui ci stiamo ormai abituando, bisogna pensare su quali settori puntare e farlo in modo oculato.
Non è un caso che quando si riescono a creare queste dinamiche virtuose i risultati arrivano: il Patto per il Lavoro che abbiamo firmato con la Regione Emilia Romagna stanzia prevede investimenti pubblici destinati a rilanciare l’economia dei nostri territori, con un intreccio positivo tra scuola e impresa, con un ruolo centrale del pubblico e con la capacità di creare le condizioni per attirare investimenti importanti anche da parte di multinazionali.
Ma anche nel nostro territorio qualche segnale positivo, di speranza, siamo riusciti a costruirlo, anche se con fatica, anche se non per tutti.
Non siamo riusciti purtroppo a salvare tutti i posti di lavoro, ma il fatto che un’impresa storica per questo territorio come la RDB sia nuovamente operativa, anche se in forma ridotta, anche se abbiamo perso competenze e capacità, è certamente un fatto positivo.
Il nostro pensiero va a tutti i lavoratori di questa azienda, a partire da chi in azienda oggi non c’è più, perché E’ grazie a tutti loro, al loro impegno, al loro coraggio e alla loro dignità se oggi possiamo riprendere l’attività e pensare ad un futuro possibile.
Non ci credeva quasi nessuno, non ci credevano gli imprenditori piacentini che hanno lasciato fallire un pezzo di storia di piacenza. Noi ci abbiamo creduto, i lavoratori ci hanno creduto e anche con l’aiuto delle istituzioni siamo riusciti a creare delle nuove basi su cui ripartire. Grazie a tutti.
Le risorse per cambiare verso questo paese se vuole le ha, ci sono, sono quasi 20 i miliardi che il governo nel 2015 ha stanziato a favore, non del lavoro, ma delle imprese, e queste risorse devono essere utilizzate in modo più intelligente e magari essere anche redistribuite a tutti quelli che in questi anni hanno pagato caro il prezzo della crisi.
E’ finita la favoletta degli 80 euro (peraltro nemmeno dati a tutti, vedi pensionati) dati con una mano e tolti con l’altra, con i continui tagli al welfare e agli enti locali.
Volete fare un’operazione equa e di cui c’è davvero necessità?
Utilizzate queste risorse per un vero intervento sul fisco, per una riforma che premi davvero lavoratori e pensionati riducendo le imposizioni e aumentando il potere d’acquisto dei salari e delle pensioni.
E perché non ridare slancio e forza ad una stagione di vera lotta all’evasione fiscale?
Ve ne siete dimenticati? Ve lo ricordiamo noi, anzi meglio ancora, ce lo ricorda l’istituto di ricerca dell’eurispes secondo il quale tra prodotto interno sommerso (il nero per intenderci) ed economia criminale ci sono 740 miliardi di euro che ogni anno lo stato non intercetta, un’evasione fiscale complessiva pari al 35% della ricchezza prodotta dal Paese.
Un dato da paese del terzo mondo, altroché expo, le vetrine e le passerelle internazionali. Dire questo non è fare i gufi o volere male all’italia, al contrario è la forza dell’orgoglio e la voglia di cambiare davvero le cose, mettendo davanti a tutto i bisogni e i diritti dei più deboli.
Ripensiamo il paese, riformiamolo dal punto di vista etico, progettuale, culturale, diamogli un’anima e restituiamo all’idea di cittadinanza quel valore sociale e democratico di partecipazione e coinvolgimento che merita.
Per fare questo occorre partire dal basso, puntare sulle nuove generazioni, sui nostri bambini, sul nostro futuro, e farlo mettendo il nostro sistema scolastico davvero in grado di riformarsi e di costruire idee e prospettive nuove per le prossime generazioni.
Non è buona scuola se non c’è innalzamento dell’obbligo scolastico.
Non c’é buona scuola se i docenti vengo visti come una problema invece che una risorsa.
Non c’è buona scuola se non c’è partecipazione e coinvolgimento.
E se ci crediamo davvero bisogna riconoscere la qualità e, ancora una volta la dignità, del lavoro nella scuola e per la scuola.
A partire dai contratti. Non è più accettabile che i lavoratori di questo settore, e del settore del pubblico rimangano senza il rinnovo del loro contratto nazionale fermo ormai da troppi anni.
Non possiamo chiedere a Confindustria, a Federmeccanica di rinnovare i contratti nazionali se il più grande datore di lavoro del paese, lo stato, è il primo a non rinnovarli.
Abbiamo creato le condizioni per farlo e abbiamo tolto ogni alibi, condividendo la revisione dei comparti della pubblica amministrazione, adesso         il governo faccia la sua parte, trovi le risorse e si adoperi per chiudere questa annosa vicenda, per il rispetto di tutti quei lavoratori che “fanno” lo stato, che sono la sua prima faccia, quella che compare davanti agli occhi dei cittadini, e penso agli infermieri, ai vigili del fuoco.
Ma è evidente che per l’intero movimento sindacale questa fase è contraddistinta dai diversi contratti aperti anche nel privato e da rinnovare, partendo dai metalmeccanici, per arrivare alla grande distribuzione, alle pulizie, ai servizi.
Come CGIL CISL e UIL ci siamo attrezzati per affrontare questa stagione con degli strumento nuovi, unitari e di fondamentale importanza. Il testo unico su democrazia e rappresentanza ed il protocollo sul nuovo modello contrattuale, predisposto di recente, riconsegnano al sindacato confederale unitario una proposta che supera le divisioni degli anni scorsi e restituisce ai lavoratori il diritto di votare gli accordi che li riguardano e di eleggere i propri rappresentanti,
e ancora quello di dare nuova linfa e prospettive al contratto nazionale, che molti vorrebbero cancellare dal nostro ordinamento, preferendo il solo livello aziendale, eliminando cosi’ i principi di solidarietà e di universalità da sempre alla base dei nostri contratti.
Siamo certi che nei cassetti del governo esistono già proposte in questo senso, pronte ad uscire al momento opportuno magari supportate dalle assurde pretese avanzate da Federmeccanica che, per il contratto dei metalmeccanici, ci chiede di accettare un’idea di salario che copra solamente il 5% dell’intera platea dei lavoratori del settore.
Sappiano che non accetteremo mai questo vero e proprio ricatto, e il grandissimo risultato dello sciopero dei metalmeccanici dello scorso 20 aprile è la risposta più efficace per far si che quei cassetti non si riaprano più.
Nelle prossime giornate altri appuntamenti segneranno la lotta più complessiva per i contratti, con il terziario che sciopererà il 6 maggio, I lavoratori della scuola che si fermeranno il 23 maggio e quelli del pubblico impiego che lo faranno il 24.
Non lasciamoli da soli questi lavoratori, aiutiamoli ad aiutarci, perché le loro battaglie sono le battaglie di tutti.
E non è solo una questione di salario. Quello che è in gioco in questi giorni è il tema più grande dei diritti.
I diritti sotto attacco, quelli negati e quelli cancellati.
Quelli da ripristinare e quelli da rendere universali.
Non possiamo permettere o rassegnarci all’idea che questi vent’anni di politiche di flessibilità sul lavoro e di profonda crisi economica e sociale ci consegnino un paese così profondamente arretrato e così profondamente ingiusto.
Scelte politiche che hanno prodotto lacerazioni profonde nel mondo del lavoro, che hanno creato veri e propri ghetti dove stanno rinchiusi milioni di giovani precari, non tutelati, non rappresentati, che oggi guardano con sfiducia alle istituzioni, alla politica e al sindacato.
Dobbiamo invertire questa tendenza, dobbiamo rovesciare la piramide dei tutelati e degli esclusi e riprenderci il diritto di avere diritti.
Questa deve essere la parola d’ordine di questi mesi, del nostro lavoro. Diritti. universali.
Il diritto ad un lavoro dignitoso e sicuro, ad un compenso equo, al riposo, alla possibilità per tutte e tutti di conciliare la propria vita familiare con il lavoro, alle pari opportunità. Il diritto a non essere discriminati, ad avere una propria riservatezza senza subire controlli a distanza, il diritto di ammalarsi e di avere un sostegno al reddito nei casi di perdita o sospensione dell’attività.
Ma anche il diritto di avere un’adeguata tutela nei confronti dei licenziamenti illegittimi e di vedere riconosciuto il lavoro nero come vero e proprio reato penale contro lo sfruttamento e l’intimidazione.
E alla fine di tutta questa narrazione, ben lontana e diversa di quella del governo (qualcuno infatti la chiamerebbe storytelling ma noi semplici ragazzi di campagna preferiamo continuare a chiamare in italiano) non si può non affrontare il tema del diritto ad un futuro previdenziale per tutti. Un futuro pensionistico sempre più a rischio per le giovani generazioni.
Un futuro altrettanto precario ed incerto come la loro attuale condizione di lavoro.
Sbaglia profondamente il presidente dell’Inps Boeri a lanciare allarmi come quello dei giorni scorsi, perché così facendo non si fa altro che alimentare un clima pesante di sfiducia. Non può permetterselo chi siede alla guida dell’istituto che dovrebbe invece garantirle le pensioni. Bisogna parlare poco, assumersi le proprie responsabilità e produrre fatti concreti.
fra tutti questi diritti non è più rinviabile un Intervento per modificare la Legge Fornero e correggere, fra le altre cose, il sistema contributivo previsto per i più giovani.
Va fatto ora e subito.
Anche qui, unitariamente con CISL e UIL, siamo riusciti a predisporre una piattaforma con le nostre posizioni condivise, un insieme di proposte che tengono insieme i giovani ai pensionati attuali, perché non siamo minimamente disposti ad accettare la logica dello scontro tra generazioni.
Per noi 41 anni di contributi sono una soglia accettabile per l’accesso al pensionamento, ma occorre prevedere un serio meccanismo di flessibilità in uscita che non sia penalizzante e troppo oneroso, occorre riconoscere i lavori usuranti e riprendere la questione degli esodati, ed infine, non meno importante, bisogna davvero garantire anche a chi in pensione c’è già l’adeguamento annuale del trattamento perché l’idea che si possa fare cassa sui pensionati è già passata per troppo tempo.
La vera patrimoniale in questo paese è stata fatta pagare a loro, è ora di dire basta.
Noi queste richieste le abbiamo già inviate da tempo al governo, abbiamo chiesto di poter aprire un confronto vero. Risposte fino a qui non ne abbiamo avute. Abbiamo già avviato la macchina della mobilitazione, con i presidi fatti in tutte le città del paese. Ma deve essere chiaro, la pazienza sta finendo, se qualcosa non accadrà nei prossimi giorni lo scontro sarà più duro e verrà portato a livello nazionale.
e’ chiaro che il governo intende procedere da solo, senza coinvolgerci, con la solita malsana idea che il sindacato va bene quando esiste e contratta in azienda ma che per il resto, sulle questioni più generali, è solo una perdita di tempo che si può evitare. Anzi, per dirla meglio, che si deve evitare.
D’altronde questo atteggiamento è perfettamente coerente con l’impostazione che le politiche sociali ed economiche hanno avuto e continuano ad avere in europa.
Quelle politiche neoliberiste, dell’austerità, dei tagli ai diritti e alle tutele sociali che hanno fatto sbiadire sempre di più l’idea dell’europa dei popoli, dell’europa solidale, del welfare e delle idee di libertà, uguaglianza e fraternità.
Oggi ad essere a rischio non sono solamente i trattati che regolamentano l’unione, come quello di shengen, ma è l’idea stessa di un’europa unita che rischia di essere persa, nei cuori della sua gente prima di tutto.
I trattati si cambiano, i sentimenti delle persone, la loro voglia di unirsi ed aiutarsi, una volta persi non li ricostruisci in un giorno.
Ci vogliono anni. Generazioni. Una volta ci volevano guerre.
Dobbiamo lavorare tutti insieme perché questo progetto non fallisca.
Dobbiamo farlo contrastando ogni forma di terrorismo, da quello che già abbiamo conosciuto negli anni che abbiamo alle spalle fino a quello nuovo, che si affaccia drammaticamente nelle nostre piazze, nelle nostre stazioni, nei nostri aereoporti, arrivando da paesi lontani.
Ma dobbiamo farlo anche lavorando sulla coscienza delle persone, perché l’odio e la violenza non prendano il sopravvento, non avendo paura di convivere con idee e culture diverse.
La nostra deve essere l’europa che si unisce al nostro paese per chiedere verità e giustizia per Giulio Regeni. Un giovane italiano, ma ancora di più un giovane europeo, sulla cui drammatica ed inquietante scomparsa non può calare il silenzio e su cui bene il governo sta lavorando per pretendere quelle risposte che tutti chiediamo.
Questa è l’europa che vogliamo noi.
Non è europa quella che costruisce recinti e respinge i profughi, magari scaricando il problema dell’accoglienza su un paese solo, che magari non trova di meglio da fare che creare dei veri e propri lager, in cambio del suo ingresso nell’unione.
Non è europa quella che rifiuta il confronto con il diverso.
Non è europa quella che discrimina per credo religioso, orientamento sessuale, appartenenza etnica.
Non è europa quella che fa la guerre.
Non è europa quella che costruisce i muri.
Noi i muri, i lager, i soprusi, le guerre le abbiamo già conosciute.
Anche negli anni 90, dall’altra parte dell’adriatico.
Non le vogliamo più vedere. Noi vogliamo solo l’europa così come la sognavano i costituenti. Libera, aperta, solidale.
Gli stessi sogni che vivevano nella testa e nei cuori delle migliaia di giovani e di partigiani che hanno combattuto per liberare il nostro paese dal nazifascismo durante la resistenza e che ricordiamo proprio in questi giorni, ed è anche per questo che siamo in piazza oggi, per tenere saldo quel filo rosso che tiene legato i diritti del lavoro, la pace e la democrazia, i valori della resistenza.
In una sola parola, la nostra splendida costituzione, che il sindacato italiano non smetterà mai di difendere e di affermare.
Anche perché non dimentichiamocelo mai, e’ proprio il primo articolo, le fondamento della nostra carta, a dire che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro.
e noi, al lavoro vogliamo restituire il valore che è stato scippato.
Viva il lavoro, viva il sindacato dei lavoratori e viva la repubblica italiana democratica e antifascista