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Spending review e Governo Monti, Lanna (Cgil): "Guardare al futuro, ma così non si va avanti".  A settembre un grande sciopero generale con Cisl e Uil?
   

Guardare al futuro, ma non
possiamo andare avanti così
 

di PAOLO LANNA*
Il nome è cambiato, ma la sostanza dei provvedimenti sulla cosiddetta spending review è come al solito quella di una imponente manovra estiva di tagli alla spesa pubblica. In quei provvedimenti troviamo ben poco delle promesse di semplificazione del sistema istituzionale e amministrativo del Paese e invece ancora tantissimi tagli al welfare e ai servizi pubblici. Di qui il giudizio negativo della CGIL che lavora per arrivare ad uno sciopero generale unitario con CISL e UIL a settembre, ma già in questi giorni ha messo in campo tante iniziative per denunciare gli effetti negativi di quei provvedimenti.
Il nostro non è un pregiudizio e non vogliamo conservare l’esistente.
Sappiamo bene che le istituzioni e le amministrazioni pubbliche hanno bisogno di profonde innovazioni per sostenere il rilancio del nostro paese. Non saremmo stati contrari di conseguenza alla spendig review, intesa come una rivisitazione della spesa. I tagli devono però essere mirati e non lineari, con l’unico obiettivo di fare rapidamente cassa tagliando orizzontalmente tutto. Il Governo Monti ha esordito con una riforma delle pensioni sbagliata che, oltre a produrre veri e propri drammi sociali per i lavoratori che rischiano di rimanere senza pensione e senza stipendi, ora crea anche nuove forme di diseguaglianza e divisione tra i lavoratori, viste le deroghe per il pubblico impiego che non valgono per i privati. La cosiddetta riforma del mercato del lavoro non risolve di certo i problemi dei più giovani, che restano prigionieri della precarietà e contiene seri problemi per la prospettiva. Con quella riforma è stato fra l’altro approvato un contratto a termine senza causali che è addirittura un arretramento e soprattutto non si è fatta la semplificazione delle decine di forme contrattuali esistenti. Anche aver scelto di tagliare gli ammortizzatori sociali in una fase di crisi è una scelta grave. La modifica dell’art 18 dello statuto dei lavoratori è stata usata come una bandiera da consegnare ai "mercati" quale simbolo di una maggiore libertà di manovra nella gestione del lavoro.
Questi ultimi tagli di spesa poi chiudono il cerchio di una manovra finanziaria che interviene in modo pesante sui diritti di cittadinanza e sul welfare. Particolarmente grave è l’intervento sulla sanità.
Nel decreto infatti non vi è traccia di riorganizzazione e riqualificazione della spesa sanitaria ma solo un’altra manovra di tagli lineari al finanziamento che compromette il diritto dei cittadini alla tutela della salute e alle cure. In queste condizioni proprio le regioni - come la nostra - che più hanno fatto per la razionalizzazione dei servizi e l’appropriatezza delle prestazioni, rischiano di essere messe di fronte a scelte drammatiche quanto a continuità dei servizi per i cittadini più deboli.
Con il taglio altri 5 miliardi alla spesa sanitaria che si aggiungono agli 8 miliardi della manovra precedente: sono ormai 22 miliardi i tagli cumulati nel triennio, di cui tre miliardi di nuovi ticket. In queste condizioni il sistema sanitario regionale rischia di diventare veramente insostenibile. Analoghi rischi corre, con questi ultimi provvedimenti, il sistema dell’ istruzione. Si tagliano infatti risorse al fondo ordinario delle università, si conferma il quasi azzeramento del diritto allo studio, si accorpano e sopprimono enti di ricerca senza alcun progetto strategico per rilanciare il sistema della ricerca pubblica, si riducono ulteriormente gli organici nel sostegno e si aumentano le ore d’insegnamento senza alcun aumento della retribuzione, si tagliano i collaboratori scolastici, già drasticamente ridotti per gli interventi degli anni scorsi, per appaltare all’esterno le pulizie a costi superiori. Anche le riduzioni trasversali, e in misura percentuale prefissata, dei lavoratori pubblici non sono altro che interventi ragioneristici che non hanno niente a che vedere con una spesa pubblica più efficiente e di maggiore qualità.
Ma si può tagliare allo stesso modo i dipendenti del ministero dell’Economia, i vigili del fuoco, gli infermieri di un ospedale o i poliziotti?
E’ possibile prescindere da valutazioni di merito sui servizi essenziali per le condizioni di vita dei cittadini, su quelli che è indispensabile sviluppare per sostenere lo sviluppo e sulle amministrazioni da rafforzare per garantire quella lotta all’evasione che tutte le persone di buon senso considerano indispensabile per risanare definitivamente i conti pubblici?
Mobilità e licenziamento di lavoratrici e lavoratori pubblici, precari e a tempo indeterminato, non colgono nessuno di questi obiettivi, ma piuttosto abbassano vistosamente i livelli di welfare e di protezione sociale dei servizi ai cittadini e, in una fase di crisi già grave, creano ulteriori problemi per le persone, sempre meno garantite nei loro diritti di cittadinanza, ulteriore disoccupazione e mobilità.
Con questi nuovi provvedimenti il governo conferma di non volere un vero dialogo con i sindacati.
La gravità della situazione internazionale, la veste tecnica del governo e la straordinarietà della situazione che il nostro paese deve fronteggiare non giustificano la scelta profondamente sbagliata di decidere in modo unilaterale.
Non coinvolgere le parti sociali è una scelta miope, ed è una scelta politica, non tecnica, che rende più tortuosa la strada per uscire dalla crisi. Altrettanto inaccettabile è l’idea di prescindere dal parere e dalle proposte del sistema delle Autonomie Locali che sono quotidianamente in prima fila nei servizi ai cittadini e rischiano oggi di essere ridotti a un ruolo di esecutori di decisioni altrui. Per tutti questi motivi occorre rispondere da subito, come già stanno facendo il lavoratori pubblici, con una mobilitazione diffusa per far conoscere le nostre ragioni e per modificare i contenuti dei provvedimenti in parlamento. Questo movimento dovrà approdare a settembre a un grande sciopero generale unitario. Lavoriamo perché lo sciopero generale sia di tutti. Abbiamo bisogno di una risposta che metta il lavoro al centro. In ogni caso ci vuole un’ iniziativa generale, perché se non si inverte la tendenza tutto il paese rischia di continuare a precipitare. Noi pensiamo che non è più tempo di aspettare.
Non è possibile continuare a delegare tutte le scelte all’Europa. Ci vogliono risposte per la crescita in Italia. I nostri obiettivi prioritari sono chiari: creare lavoro, cambiare la riforma delle pensioni, creare lavoro per quel 36% di giovani disoccupati. Solo così si guarda al futuro. La CGIL lo sta facendo.
*Segretario generale CGIL Piacenza