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VERSO IL CONGRESSO CGIL 2014 - Il documento territoriale APERTO ai cittadini: ecco la prima bozza. I documenti del CONGRESSO 



Cliccando qui si accede alla pagina del sito nazionale in cui sono presenti i documenti del XVII Congresso





 IL DOCUMENTO APPROVATO dai Gruppi di Lavoro ed assunto dal Direttivo della Camera del Lavoro del 5 Novembre. Verrà portato all’attenzione degli iscritti nelle Assemblee Congressuali dei luoghi di lavoro e delle Leghe Spi. Il Documento ha al centro il tema di "Quale sviluppo per il territorio piacentino" ed è aperto a contributi, osservazioni e suggerimenti.



Per un nuovo sviluppo del territorio piacentino

( occupazione, diritti, tutele sociali )

 



ll gruppo dirigente della CGIL Piacentina presenta, in vista del prossimo Congresso, un Documento di indirizzo e di lavoro con al centro il tema di “quale sviluppo per il territorio piacentino“ nei prossimi anni, da discutere e confrontare, in prima istanza, nelle Assemblee Congressuali dei luoghi di lavoro e delle Leghe SPI.

 

Premesso che il Piano del Lavoro proposto dalla CGIL nella sua Conferenza di Programma è un documento che ha tra le diverse chiavi di lettura quella che occorre partire dal territorio e dai suoi problemi, dalle esigenze e dalle risorse che da lì è possibile mettere in campo. Uno dei concetti di fondo attorno al quale l’elaborazione del Piano si sviluppa, consiste infatti nella necessità di incrociare l’attuazione di nuove politiche nazionali ed europee, atte a favorire una ripresa produttiva ed occupazionale, con una nuova capacità di progettazione territoriale, che dovrà interessare anche il territorio piacentino.

 

In questo quadro il territorio non va più visto semplicemente come destinatario o beneficiario passivo, ma viene chiamato ad assumere un ruolo attivo e partecipato e a mobilitare le proprie energie sociali ed intellettuali. Infatti, al sistema delle autonomie locali dovremo rivendicare sempre più la definizione di specifici progetti di intervento capaci di esaltare le differenze, le particolarità, le vocazioni caratteristiche di ogni singolo territorio.

E’ anche per questo che dovremo porre la massima attenzione nel processo di riorganizzazione istituzionale in corso, evitando la dispersione di funzioni fondamentali di programmazione territoriale oggi in capo alle Province.

 

RIORDINO DEI LIVELLI ISTITUZIONALI

Nell’ambito dei percorsi legislativi in corso in materia di riordino istituzionale, occorre individuare le soluzioni più efficaci per garantire adeguate risposte ai territori ed ai cittadini in termini di servizi e di programmazione.

In questa logica, appare del tutto evidente come l’individuazione delle Unioni dei Comuni quale strumento principale, sia la scelta più convincente e funzionale, anche ai fini della qualità dei servizi.

Ed è in questa direzione che si orienta la Legge Regionale n. 21, approvata dalla Regione Emilia Romagna in data 21.12.2012, sulla quale esprimiamo un giudizio sostanzialmente positivo, pur ritenendo che i contenuti in essa presenti vadano necessariamente collocati nello scenario più generale di riforme istituzionali nazionali, a partire dalla riforma delle Province.

 

Le scelte effettuate dalla nostra Regione sono quindi apprezzabili ma, stante la perdurante incertezza politica e la conseguente difficoltà decisionale, occorrerà governare questa fase di transizione nell’attesa di una più complessiva definizione della materia a livello statale, ben sapendo che restano ancora da individuare ed adottare le scelte in materia di redistribuzioni di competenze e funzioni fondamentali, tra le quali le politiche del lavoro, oggi assegnate alle Province e sulle quali, data l’importanza che rivestono, è necessario, da parte anche nostra, sviluppare un serio approfondimento.

 

Lo schema del Disegno di Legge dell’attuale Governo, presentato dopo la Sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittime le norme del Decreto Monti “Salva Italia” per quanto riguarda il riordino delle Provincie, non aiuta a fare chiarezza e non rappresenta ancora, purtroppo, un disegno organico in grado di realizzare un sistema integrato tra i diversi livelli istituzionali, con una definizione chiara delle competenze e delle funzioni per garantire adeguati servizi ai cittadini.

 

Per noi, il riordino deve avere come obiettivo il rafforzamento (e non l’indebolimento) dei diversi livelli di governo per rendere le istituzioni locali, vecchie e nuove che siano, protagoniste della vita economica e sociale dei territori, assieme ai cittadini ed alle loro rappresentanze.

CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE

Se, come siamo convinti, la Contrattazione sociale territoriale deve assumere un ruolo strategico, soprattutto in una congiuntura molto critica come quella che stiamo vivendo, diventa necessario affrontare il tema dei servizi pubblici e della loro rilevanza.

 

Infatti, dando per scontato che la qualità della vita di una popolazione è strettamente collegata alle tutele sociali, educative,sanitarie che le sono garantite e, nel complesso, all’organizzazione del sistema di protezione sociale e dei servizi territoriali in cui è inserita, proprio in una fase storica in cui il potere d’acquisto delle retribuzioni e delle pensioni si è fortemente ridotto, il compito della contrattazione sociale territoriale può diventare fondamentale, nella fase contingente per contrastare il degrado socio-economico indotto dalla crisi e sostenere in qualche misura il reddito delle categorie più colpite e, in prospettiva, per favorire una crescita più equilibrata e più equa della società.

 

Diventa pertanto necessario un intreccio molto stretto e partecipato tra il livello Confederale e le Categorie, una maggiore capacità di lettura ed analisi dei fenomeni sociali sul piano territoriale per individuare le priorità, le emergenze, le specificità da sviluppare in termini di proposte agli altri soggetti sindacali e ai tavoli di confronto.

Sul versante pubblico, ci troviamo oggi a fare i conti con riforme strutturali che ridisegneranno gli assetti istituzionali e con riduzioni molto significative di risorse finanziarie che, se non governate con attenzione e con una visione d’insieme, anche da parte nostra, rischiano di dare un colpo mortale all’attuale sistema di protezione sociale, sicuramente non perfetto e certamente migliorabile ma che si è consolidato, nel tempo, come uno tra i migliori in Europa.

 

Il nostro compito, la nostra sfida, dovranno pertanto tenere conto del contesto molto complesso in cui ci troviamo, cercare di mantenere un rapporto molto attivo con i processi di riforma istituzionale in corso, provare ad aprire nuovi spazi di iniziativa e di partecipazione democratica per riconquistare potere negoziale, con l’obiettivo di promuovere politiche di welfare che, superando la vecchia logica di tipo assistenziale e di mera difesa dell’esistente, si affermino come leva importantissima per la crescita armonica delle comunità locali.

 

In sostanza, la nostra capacità di leggere la domanda di servizi e tradurla in scelte concrete potrà diventare un pezzo molto significativo del nostro Piano per il Lavoro, da portare alla discussione dei lavoratori e dei pensionati in quanto cittadini, sperimentando, quindi, anche nuovi campi di partecipazione.

 

La contrattazione sociale territoriale rappresenta un’opportunità ed uno strumento prezioso all’interno della quale occorre declinare una Piattaforma di genere e sviluppare proposte concrete in grado di intercettare i bisogni delle donne e delle lavoratrici. In particolare:

  • la promozione (specie nelle piattaforme contrattuali) del bilancio di genere quale strumento di verifica e programmazione di politiche inclusive ed eque tra i generi da parte delle istituzioni;

  • sostegno alla genitorialità, all’occupabilità e alla promozione del ruolo sociale delle donne attraverso una migliore rete di servizi per l’infanzia, per anziani e non autosufficienti, ecc.;

  • maggiore vivibilità e sicurezza urbana (politiche abitative, trasporti, ecc);

  • politiche per la conciliazione degli orari di vita e di lavoro;

  • piani di formazione professionale rivolti alle donne;

  • sportelli/uffici informativi rivolti alle donne, in relazione alle tematiche più diverse: ascolto e indirizzo ai servizi sociali di donne in condizione di disagio o esclusione sociale, mobbing, violenza domestica, disagio abitativo, disoccupazione e politiche attive del lavoro, conciliazione vita personale/lavoro in contesti di separazione con figli, consulenza legale in materia di divorzio e separazione;

  • declinazione di interventi di sostegno al reddito considerando la condizione femminile tra le dimensioni critiche nella fase di crisi (specie per le donne che formano nuclei monoparentali con figli minori, donne sole e anziane a basso reddito da pensione).

  • realizzazione di speciali azioni di integrazione focalizzate sul genere, rivolte specificamente a donne immigrate

Risulta inoltre opportuno e urgente avviare, in collaborazione con le Istituzioni Scolastiche del territorio, percorsi e iniziative per la promozione della cultura di genere e per l’introduzione delle pari opportunità nella didattica.

 

 

A fronte del permanere della congiuntura economica negativa occorre mettere in campo il massimo sforzo per dare continuità ai cosidetti “ Fondi Anticrisi Distrettuali” e il “ Fondo Provinciale a sostegno dei lavoratori a rischio di espulsione dal mercato del lavoro” a favore di cittadini, famiglie e imprese interessati dalla crisi occupazionale, con contributi economici straordinari di sostegno al reddito e alle condizioni di vita di numerose famiglie piacentine, sulla base dei Bandi emessi negli anni precedenti che, pur in una situazione di estrema difficoltà, hanno dato alcune risposte significative sul territorio.

 

INTEGRAZIONE SOCIO SANITARIA

a) IL RUOLO DEI DISTRETTI

Il Distretto socio-sanitario, articolazione territoriale dell’Azienda USL (così come stabilito dalla L. 29/2004 e dalle linee guida Regionali - Delibere 86/2006 e 2011/2007) è l’AMBITO OTTIMALE della Programmazione Sociale e Socio-Sanitaria, il luogo elettivo dell’integrazione e del rapporto con i Comuni, titolari della gestione di servizi sociali.

Il Distretto assicura alla popolazione di riferimento l’accesso ai servizi e alle prestazioni sanitarie e sociali ad elevata integrazione sanitaria, sia attraverso la valutazione dei bisogni e la definizione dei servizi necessari, sia mediante l’erogazione di prestazioni e servizi di primo livello o di base, quali l’assistenza specialistica ambulatoriale, l’assistenza ad anziani e disabili, l’assistenza domiciliare integrata, l’assistenza e la cura delle tossico-dipendenze, l’assistenza e la cura della donna, dell’infanzia e della famiglia ecc. Inoltre agisce da AMBITO OTTIMALE per le Aziende di servizi alla persona e per il riparto del Fondo Regionale per la Non Autosufficienza (FRNA).

Le funzioni di PROGRAMMAZIONE sono esercitate dal COMITATO di DISTRETTO, che riunisce tutti i SINDACI dei Comuni dell’AMBITO TERRITORIALE DISTRETTUALE, di concerto con il Direttore di Distretto.

Il Distretto assicura alla popolazione residente nei Comuni ricompresi nel suo ambito la disponibilità, secondo criteri di equità, accessibilità, appropriatezza, dei servizi sanitari e sociali.

Lo STRUMENTO di PROGRAMMAZIONE dell’attività distrettuale è il PROGRAMMA delle Attività Territoriali (PAT).

 

Attualmente i Distretti dell’Azienda USL di Piacenza sono tre, secondo la definizione decisa dalla Conferenza Territoriale Sociale e Sanitaria (CTSS) l’11 settembre 2007, così articolati: - Ponente, con sede a Castel S.Giovanni - Piacenza (unico Comune) con sede in città - Levante, con sede a Fiorenzuola Val d’Arda

 

Sulla base di questa Identità Istituzionale, per il Sindacato l’obiettivo non può che essere di SOGGETTO PROTAGONISTA e RICONOSCIUTO della RAPPRESENTANZA SOCIALE nella partecipazione agli indirizzi e alle scelte programmatiche, nonchè di verifica e controllo del rapporto tra Programmazione/gestione/realizzazione, in tutto ciò esercitando una funzione sia partecipativa che negoziale, secondo i momenti e i percorsi.

Ne consegue, ovviamente, la necessità di COSTITUIRE a QUESTO LIVELLO una condizione organizzativa e rappresentativa certa nella quale tutta l’Organizzazione possa riconoscersi espletando, anche per questa via, tutte le funzioni della rappresentanza e della validazione democratica.

 

b) LE AZIENDE DEI SERVIZI ALLA PERSONA – ASP

Braccio operativo dei Distretti socio-sanitari, sono le ASP, recentemente oggetto di riordino da parte della Regione Emilia Romagna.

Pur essendo già previste da una legge nazionale del 2000, la L.328, e da una successiva Legge Regionale Emilia Romagna, la L.2/2003, non tutte le realtà territoriali hanno proceduto alla realizzazione ed implementazione delle ASP.

 

Ora con le novità introdotte dalla Legge Regionale 12 / 2013 le Amministrazioni Locali sono chiamate ad assicurare il riordino delle forme pubbliche di gestione dei servizi sociali e sociosanitari individuando un’unica forma pubblica di gestione in ambito distrettuale; impegno , questo, che deve essere contenuto nel Piano di Riordino , che rappresenta l’impegno preliminare e la cornice all’interno della quale definire ed attuare gli interventi specifici e i servizi che si intendono affidare alle ASP.

 

Nella nostra provincia, sono state costituite, finora, 3 ASP, due nel Distretto di Piacenza, una nel Distretto di Ponente, nessuna nel Distretto di Levante, ove permangono ancora diverse e molteplici forme di gestione dei servizi.

Siamo convinti che le ASP siano il modello verso cui tendere per rendere sostenibile e nello stesso tempo qualificato il sistema di Welfare locale

Per questo, dovremo impegnarci a rendere effettiva questa scelta, consolidando la realizzazione, da parte dei Distretti, di una produzione diretta dei servizi, attraverso le ASP, già individuate dalla legge come unica forma pubblica di gestione dei servizi.

 

c) SANITA’ TERRITORIALE ED OSPEDALIERA

Quello che abbiamo davanti si presenta come uno scenario mai visto prima legato ai tagli alla sanità dovuti alle varie norme che si sono susseguite; citiamo solo le ultime, in ordine cronologico, a partire dal patto per la salute 2010/12, dalle Leggi 122/2010 e 111/2011 passando per il DL95/2012 S.R. ad arrivare alla Legge di stabilità 2013.

La programmazione triennale 2012/2015 prevede quindi un totale di circa 35 miliardi di euro di tagli e, per la prima volta, minor risorse rispetto all’anno precedente (2013 su 2012).

A questo si aggiunge l’imminente confronto Governo Regioni sul nuovo patto per la salute 2013/15 in cui si racchiuderanno temi quali ad es. la riorganizzazione dei piccoli ospedali, il riordino della rete territoriale, l’edilizia sanitaria e non certo da ultimo l’aggiornamento dei LEA e l’introduzione dei LIVEAS.

 

Il Bilancio dell’AUSL di Piacenza prevede per il 2013 finanziamenti pari a 581 milioni, con una riduzione di risorse da parte del SSN dello 0,98% sul 2012 ed un’ulteriore abbattimento da parte del SSR dell’1,05%.

Questi i tagli alle risorse del sistema che, parallelamente all blocco del rinnovo dei CCNL, si traducono, per quanto riguarda il personale, al congelamento delle retribuzioni (ferme al 2010), nel taglio del salario accessorio, nel blocco del turn over, risorse per la formazione ridotte del 50%, ecc…

Ecco l’impianto che ci troviamo ad affrontare in un contesto, quello sanitario, in cui tra l’altro gli operatori spesso già lavorano tra mille problemi e difficoltà e con carichi di lavoro gravosi, chiamati a volte a saltare i propri turni di riposo e le ferie per mantenere i livelli di erogazione dei servizi.

E’ doveroso quindi, oggi più che mai, accendere i riflettori sul SSN poiché quello che sta avvenendo, tra privazione di risorse, attacchi alle professionalità e riduzione dei diritti è un tentativo, sempre più spinto, di rendere la sanità pubblica mediocre, non appetibile, povera: in poche parole una sanità per poveri.

Quanto di sanità e welfare sarà quindi teso al privato, oltre a quello già presente oggi?

Governo, programmazione, gestione e controllo pubblico devono comunque essere alla base delle responsabilità future ma, in queste circostanze, è ormai evidente quali siano le difficoltà per orientare le scelte al mantenimento dei livelli di qualità acquisiti.

Noi riteniamo che mantenere al centro la qualità del lavoro, in quanto garanzia di qualità dei servizi e delle prestazioni a favore dei cittadini, in coerenza con i contratti collettivi nazionali e le normative vigenti in tema di professioni sociali e sanitarie sia fondamentale. Lavoro, quindi, quale elemento strategico per la definizione degli assetti organizzativi finalizzati ai nuovi bisogni mantenendo, quale ambito ideale, la centralità e lo sviluppo del territorio, con una crescente integrazione tra ospedali e rete dei servizi socio sanitari.

Ma quali modelli organizzativi vengono proposti come opzioni di supporto a garanzia della qualità dei servizi?

Il modello delle cure primarie resta per noi punto di riferimento per portare avanti l’intervento della rete territoriale a sostegno della prevenzione e della cura sia di patologie croniche sia delle necessità sociali conseguenti alle prese in carico dei pazienti.

Centralità del territorio che, come naturale conseguenza, porta i Medici di Medicina Generale e i Pediatri di Libera scelta, a diventare punto di riferimento per un numero sempre più ampio di cittadini e non solo dei propri pazienti in un’idea di medicina di prossimità sempre più in relazione con i bisogni sociali.

Anche il modello delle case della salute rappresenta un’occasione dove amalgamare le varie esperienze professionali sempre con l’obiettivo prioritario di dare risposte ai bisogni.

Bisogni sanitari che non si esauriscono solo nella cura delle persone ma anche nel ruolo essenziale che va attribuito e ulteriormente rafforzato alla prevenzione.

 

d) Area Vasta ( AVEN )

Per quanto riguarda il modello di area vasta, nel cui ambito la conferenza socio sanitaria svolge il ruolo di programmazione delle politiche, riteniamo che questa scelta possa rappresentare una possibilità purché riconosca l’esperienza, valorizzi i saperi e le risorse umane attraverso il pieno coinvolgimento delle OO.SS. e dei professionisti, non soltanto nella definizione dei bisogni di cura ma anche nelle scelte di pianificazione delle Aziende Sanitarie salvaguardando i bisogni di salute dei cittadini, il ruolo e la dignità dei lavoratori e mantenendo un equilibrio tra le province ricomprese in AVEN in modo che ciascun territorio possa vedersi rappresentato adeguatamente in questo contesto.

Dobbiamo però registrare come la realtà che stiamo vivendo stia seguendo un percorso diverso. I rapporti che i direttori di AVEN hanno tenuto nei confronti delle OO.SS. non sono stati propriamente corretti, rispetto al protocollo di relazioni sindacali sottoscritto nel 2011, e, di fatto, senza informazione e confronto e in un spazio temporale di pochi mesi sono state deliberate una serie di gestioni congiunte e coordinamenti interaziendali.

La contrattazione decentrata, ambito nel quale si definiscono modelli organizzativi condivisi e specifiche linee di indirizzo, viene in questo modo bypassata e sul territorio non resta che tamponare le ricadute che tali decisioni, non condivise, generano.

Diventa quindi fondamentale che ci si riappropri, senza indugio, del nostro ruolo pretendendo il rispetto del protocollo sindacale e quindi il confronto preventivo sulle scelte che la regione e AVEN intendono adottare e il ruolo prioritario della contrattazione di secondo livello.

 

CONOSCENZA ( ISTRUZIONE – FORMAZIONE )

Piacenza, in questi ultimi anni, ha migliorato sensibilmente la propria dotazione relativa alle Infrastrutture culturali e ricreative. Ora deve fare un ulteriore passo in avanti, caratterizzandosi come “Città della Conoscenza” in sinergia con le realtà vicine, in particolare Parma e Milano, per mettere in rete le attività universitarie, di ricerca, di formazione professionale.

 

In questa fase di grave crisi si corre però il rischio che la condizione economica e reddituale delle famiglie si scarichi sui percorsi scolastici e formativi dei più giovani e che si assista, nel medio e lungo periodo, a una ricaduta “classista” sugli studi, con conseguenze pesantissime sulla coesione e sulla mobilità sociale delle nuove generazioni. Per questo, pur muovendo dalla consapevolezza che molto in questo campo deriva da scelte di carattere nazionale e che la totale inadeguatezza del sistema di istruzione Italiano è presente a tutti i livelli, occorre una forte azione vertenziale territoriale per contrastare l’indebolimento e la dequalificazione dell’istruzione pubblica prodotto dai tagli, cercando di ottenere risultati per ampliare e migliorare l’offerta formativa. A norma delle vigenti disposizioni, infatti, gli EE.LL. risultano titolari di una molteplicità di attribuzioni che attengono la programmazione e la pianificazione della rete delle offerte formative e l’erogazione di servizi intesi a garantire la piena e generalizzata fruizione del diritto allo studio. E’ quindi responsabilità dei tavoli territoriali di contrattazione individuare come priorità il miglioramento della qualità dell’istruzione, nodo strategico per lo sviluppo economico e democratico del territorio e dell’intero Paese, e garantire l’efficienza e l’efficacia del sistema, in primo luogo attraverso l’impegno a non diminuire, ma piuttosto ad aumentare, le risorse da destinare.

Vi sono alcuni temi che, sia nell’immediato presente che in una prospettiva temporale di medio periodo, possono essere affrontati anche e soprattutto a livello territoriale, mediante il conseguimento di alcuni obiettivi strategici per le seguenti tipologie :

0-3 anni Individuare una regia pubblica in grado di organizzare e coordinare sul territorio la domanda dei cittadini e l’offerta dei servizi proveniente dai diversi soggetti, pubblici e privati, prevedendone un’eventuale implementazione e mantenendo l’attuale equilibrio , garantendo gli standard di qualità ai quali devono rispondere tutti i soggetti coinvolti; occorre sollecitare l’impegno degli EE.LL. a contribuire all’istituzione di sezioni primavera (24-36 mesi) con i supporti necessari, anche di tipo economico, e con personale qualificato.

Tempo scuola ed extrascuola: ottenere un piano per realizzare servizi e strutture e potenziare gli organici del personale in tutte quelle scuole dove il tempo lungo è necessario per rispondere alla domanda sociale e per un’offerta formativa rispondente al contesto socio-culturale; integrare l’offerta formativa delle scuole prolungandone l’orario di apertura e svolgendo attività extracurricolari.

Integrazione scuola-territorio: progettare la vivibilità degli spazi scolastici, anche di quelli già esistenti, come spazi aperti alla città, al paese, al territorio, come spazio culturale e formativo nel quale si riconosce la comunità. Considerare le scuole anche come potenziali partner culturali degli EE.LL., per promuovere l’emancipazione dei cittadini e lo sviluppo del territorio, valorizzando la scuola pubblica come risorsa e non come pesante centro di costo.

Integrazione scolastica alunni non italiani: progettare e finanziare percorsi di formazione linguistica, attivare interventi di mediazione interculturale, realizzare una programmazione territoriale atta a prevenire la formazione di scuole “ghettizzate”.

Integrazione scolastica alunni disabili: assicurare la frequenza dell’asilo nido, della scuola dell’infanzia e di ogni grado di istruzione con l’ adeguata presenza di figure professionali (assistenti personali, educatori, assistenti per l’autonomia e la comunicazione) necessarie alla piena fruizione del diritto, garantire la fornitura di ausili e supporti didattici, promuovere la piena accessibilità a tutti gli edifici e gli spazi rimuovendo le barriere architettoniche.

Contributi funzionamento: incrementare l’erogazione da parte dell’ente locale di risorse destinate al funzionamento amministrativo, ad arredi e laboratori, all’acquisto di materiale di facile consumo, alla realizzazione di particolari progetti di integrazione col territorio.

Edilizia scolastica: attivare iniziative atte a far emergere lo stato reale dell’edilizia scolastica al fine di salvaguardare il patrimonio scolastico; qualificare l’offerta formativa rendendo sicuri e accoglienti gli ambienti, dare applicazione alla normativa in materia di sicurezza.

Rete scolastica: progettare l’eventuale riorganizzazione della rete scolastica in base a criteri funzionalità e qualificazione; evitare la chiusura di istituzioni scolastiche o punti di erogazione in aree disagiate dove la presenza scolastica assume la funzione di indispensabile presidio culturale, reinvestire tutte le risorse che si liberano dall’azione di dimensionamento per rispondere alla domanda sociale e per qualificare l’offerta formativa.

Prevenzione dell’ insuccesso e della dispersione scolastica: promuovere l’azione sinergica dei soggetti coinvolti per elaborare e attuare specifici progetti di integrazione e inclusione; istituire un’ anagrafe degli studenti costantemente aggiornata quale strumento per individuare tempestivamente i soggetti che evadono l’obbligo di istruzione e formazione; realizzare osservatori sulla dispersione e il coordinamento dei servizi di orientamento.

Educazione degli adulti: rilevare le richieste inespresse di formazione, promuovere un sistema territoriale di formazione permanente che coordini e potenzi le esperienze che consentono agli adulti di arricchire e completare il proprio bagaglio di esperienze e competenze. Verificare la presenza di un’adeguata rete di servizi che permetta ad un’utenza particolarmente debole l’accesso alla formazione prevedendo specifiche agevolazioni.

Istruzione e Formazione professionale: rivedere i criteri che ispirano l’offerta provinciale di formazione professionale affinché, partendo dalle esigenze espresse dal mondo imprenditoriale, dagli EE.LL., dal territorio, si costruiscano percorsi di istruzione e formazione aderenti alla vocazione produttiva territoriale. Monitorare a breve, media, lunga scadenza gli sbocchi occupazionali dei vari percorsi.

Tariffe: garantire la fruizione a basso costo (attraverso l’applicazione dell’ISEE) dei servizi essenziali di supporto (mensa, trasporto, accesso a biblioteche, musei, teatri...) in quanto garanzia dell’universalità del diritto allo studio; applicare tariffe progressive e agevolate, prevedendo l’esenzione per gli studenti provenienti da famiglie particolarmente colpite dalla crisi (con genitori disoccupati, in cassa integrazione, in mobilità).

 

SERVIZI PUBBLICI LOCALI ( ENERGIA – TRASPORTI …)

Cresce nel paese una nuova e forte domanda di governo e di responsabilità pubblica sui beni comuni. Risparmio energetico ed energie rinnovabili, recupero e riuso dei materiali nel ciclo di vita dei prodotti, mobilità sostenibile, risparmio delle risorse idriche, devono caratterizzarsi come le linee portanti di un processo di riconversione economica dei sistemi produttivi e di cambiamento degli stili di vita e di consumo da imporre all’agenda politica.

La vocazione e la storia del nostro territorio in tema di Energia fa si che a Piacenza possa trovare terreno fertile il rilancio tecnologico legato a nuovi studi su: fonti rinnovabili, energie alternative, combustibili. In relazione alle caratteristiche della nostra collina-montagna è interessante la proposta relativa alle biomasse per smaltire la bonifica di boschi, campi e fossi; questi interventi potrebbero attrarre investimenti sul territorio ed energia a basso costo, ma occorrerà una attenta valutazione sull’impatto ambientale.

 

E’ strategica inoltre un’adeguata valorizzazione del decommissioning della Centrale di Caorso, come prototipo a livello internazionale, nell’auspicio che lo smantellamento di un grande impianto Nucleare permetterà all’ Italia di acquisire Know.how e competenze che saranno sicuramente spendibili anche all’estero.

Deve essere chiaro il concetto che Caorso non può essere individuato come deposito nazionale per i rifiuti nucleari: non ne ha i requisiti necessari perché è sul Po, con tutti i rischi che ne derivano, fermo restando che il problema dell’individuazione di un sito nazionale và affrontato e risolto prima del 2024 in cui dovrebbe terminare la dismissione.

Su detta partita si rende indispensabile la convocazione in tempi brevi del “ Tavolo della Trasparenza”.

 

Piacenza può ancora svolgere , all’interno del PER ( Piano Energetico Regionale ) un ruolo ed una funzione importante, in considerazione delle caratteristiche e dell’ubicazione del territorio, nonché per la presenza delle più significative aziende elettriche e dei Centri di eccellenza , in particolare per quanto riguarda la ricerca , la sperimentazione ed i controlli dei processi di produzione di Energia e di tutela ambientale.

Per la CGIL la strada maestra da seguire è quella tracciata dal PER , con particolare riferimento al risparmio energetico, allo sviluppo delle fonti rinnovabili, all’efficentamento del Parco Termoelettrico esistente (con annesso sviluppo delle Rete di Teleriscaldamento ).

Occorre rivendicare un vero e proprio “Piano per le Rinnovabili”con un impegno certo di tutti i soggetti istituzionali coinvolti a favorire la localizzazione di impianti compatibili con l’assetto ambientale, paesaggistico ed economico del territorio, evitando forzature, ma anche l’affermarsi di posizioni ideologiche e, a volte, strumentali di contrasto a qualsiasi intervento, a prescindere dal merito.

 

E’ necessario riaprire il confronto sul territorio sui temi dell’energia e della ricerca, partendo dalla consapevolezza che Piacenza ha le carte in regola, le strutture, le professionalità e le Sedi per presentare un progetto condiviso, con un utilizzo mirato dei FONDI STRUTTURALI europei, legato allo sviluppo, alla riconversione ambientale e allo studio di nuove tecnologie per le Fonti Rinnovabili.

 

Con riferimento allo sviluppo del territorio un ruolo importante puo’ essere svolto dalle Aziende Multiutility ( IREN…), che sul territorio deve prioritariamente fare gli investimenti già definiti dal 2010 ( 12 MLN di euro già recuperati sulle bollette dei cittadini di Piacenza e provincia ) per migliorare la sicurezza di approvvigionamento e la qualità dell’ acqua. IREN deve dare al territorio le garanzie richieste in termini di mantenimento del suo assetto a maggioranza pubblica, sviluppando un piano industriale finalizzato al miglioramento e al recupero ambientale del territorio, anche attraverso un sistema di alleanze per garantire gli investimenti necessari.

 

Per quanto riguarda i TRASPORTI occorre costruire le condizioni affinchè il Nodo Ferroviario Piacentino possa continuare a garantire una funzione strategica per il Nord Italia, nella consapevolezza che non è più rinviabile un intervento concreto di miglioramento delle condizioni di viaggio dei pendolari e più in generale dei servizi offerti.

 

Così come occorre un vero e proprio ridisegno della Rete del Servizio di TPL ( Trasporto Pubblico Locale ), adeguata alle esigenze del territorio, con un servizio di autobus efficiente ed ecologico integrato con il servizio ferroviario, attraverso l’adozione di un sistema tariffario equo e socialmente sostenibile per le famiglie, prevedendo da subito un reale potenziamento delle linee in coincidenza con gli orari scolastici per evitare gli incomprensibili disagi di questo inizio anno.

 

LE POLITICHE DEL MERCATO DEL LAVORO

a) La destrutturazione del lavoro

Le politiche del mercato del lavoro praticate dai Governi, tradotte in scelte legislative finalizzate alla precarizzazione ed alla flessibilità dei rapporti di lavoro, ci consegnano oggi un quadro estremamente frammentato che rende ancora più complicata la nostra iniziativa e la nostra capacità di essere realmente rappresentativi e che rende necessario, da parte nostra, l’adozione di strategie volte alla ricomposizione di tali dinamiche.

In questa logica, due sono i filoni a cui assegnare priorità nella nostra azione nel prossimo periodo, il settore agro-alimentare e la logistica.

Il settore agro-alimentare si è caratterizzato nel corso degli anni con il consolidamento del fenomeno della stagionalità, che non ha risentito in maniera significativa della crisi e che, anzi, ha in qualche modo garantito una certa tenuta anche occupazionale, al di là dell’inevitabile declino del comparto industriale del settore in corso da anni.

Nonostante questo, da un’attenta lettura dei risvolti meno evidenti dei processi, si evidenzia un drastico peggioramento degli aspetti qualitativi del lavoro che viene creato e dei trattamenti economici e normativi applicati.

Tra le pieghe delle più recenti normative in tema di mercato del lavoro, infatti, viene con sempre maggior frequenza individuato lo strumento del lavoro accessorio (voucher) come normale forma di impiego, aggirando quindi vincoli e materie garantite dalla contrattazione collettiva nell’ottica di una riduzione del costo del lavoro a discapito, ovviamente, dei lavoratori e delle lavoratrici impiegati nelle lavorazioni.

Inoltre, la popolazione lavorativa in questi contesti è prevalentemente composta da lavoratori extracomunitari, che vedono aggravare la loro già spesso precaria condizione di cittadini stranieri, con condizioni lavorative che non rispondono ai requisiti delle normative vigenti in materia di immigrazione mettendo così a rischio anche il destino ed il futuro di questi lavoratori nel nostro Paese.

Occorre quindi individuare forme di controlli e tutele adeguati alla complessità del fenomeno, rafforzando anche quelli già esistenti in stretto rapporto con gli istituti preposti, al fine di combattere il distorto utilizzo di strumenti che mascherano in realtà forme di abusi intollerabili: ovviamente, tale principio deve trovare applicazione anche in altri settori, ferma restando la priorità che come CGIL indichiamo in agricoltura.

Il settore industriale agro-alimentare è inoltre fortemente coinvolto anche nei processi di esternalizzazione di servizi e pezzi di attività tramite appalti che caratterizzano le strategie aziendali di riduzione dei costi di questi anni e che ormai interessano l’insieme dei settori produttivi.

 

b )Gli appalti e la Cooperazione

A tale proposito è corretto affrontare questa materia introducendo una prima e netta distinzione tra legittimità o meno degli appalti che vengono introdotti dalle imprese: da un lato vi sono, infatti, appalti di servizi quali pulizie, mense per i quali non vi è dubbio che l’appalto sia uno strumento legittimo e funzionale alle dinamiche organizzative del lavoro, dall’altro si assiste invece con sempre maggior frequenza alla esternalizzazione di interi processi lavorativi propri dell’impresa, con risvolti che spesso lasciano profondi dubbi sulla genuinità dell’appalto stesso.

Sul primo versante, quello degli appalti “tradizionali” la nostra attività deve concentrarsi con sempre maggiore attenzione sulle materie riguardanti le applicazioni contrattuali e le loro dinamiche, tenendo conto del fenomeno relativo al dumping fra imprese giocato sulla stipula di accordi separati con la logica dell’abbattimento dei trattamenti economici e normativi per i lavoratori.

Questa tendenza sempre più diffusa, riguardante soprattutto il mondo cooperativo, si manifesta con la firma di accordi separati (accordo provinciale Confcooperative), e con la costituzione di nuove associazioni datoriali come Unci e, di recente costituzione, UeCoop, facente riferimento a Coldiretti.

Queste iniziative sono volte ad aggirare l’applicazione della contrattazione collettiva sottoscritta anche dalla CGIL e si manifestano, anche nel nostro territorio, come elementi che minano, oltre le condizioni lavorative delle persone che noi rappresentiamo, anche la corretta concorrenza tra imprese e facilitano il ricorso a cooperative “spurie” con anche il serio rischio di contaminazione da parte della criminalità organizzata.

La condivisione di tabelle di riferimento per il costo del lavoro, della contrattazione da applicare nei singoli comparti e delle strategie per il governo politico degli appalti di servizi sono gli strumenti indispensabili a ricomporre un quadro oggi ancora troppo ambiguo, e necessitano di un profondo lavoro di coinvolgimento anche della committenza.

Un lavoro serio ed approfondito può essere avviato a partire dal coinvolgimento diretto dell’Osservatorio sulla Cooperazione costituito presso la Dtl, che necessita di una riqualificazione e di un rilancio, ma è inevitabile un chiarimento definitivo con le Centrali Cooperative per valutare l’opportunità o meno della definizione e condivisione di regole, ruoli e strategie di governo territoriale, senza i quali non è possibile pensare ad una via politica di uscita dalla situazione data.

 

In secondo ordine, vi è la questione relativa all’utilizzo distorto dello strumento appalto: in più di una occasione sono stati riscontrati casi di affidamento a soggetti terzi di interi pezzi di lavorazione e produzione o di attività prevalente dell’impresa stessa.

Non vi è dubbio che alcuni interventi legislativi anche recenti hanno reso più semplice l’utilizzo di questo strumento anche per la gestione diretta delle attività dell’impresa, ma ancora oggi vi sono elementi chiari e parametri di riferimento importanti per determinare la genuinità del ricorso all’appalto.

Occorre quindi un coinvolgimento diretto dei servizi ispettivi e degli organismi preposti al controllo ed alla sorveglianza, al fine di fare emergere tutte le posizioni ambigue ed avviare una stagione di regolarizzazione delle storture più evidenti, anche attraverso percorsi di emersione i quali devono comunque prevedere percorsi certi e definiti e la definitiva uscita da situazioni di illegittimità.

 

Sono, questi, due filoni che vanno affrontati e gestiti parallelamente, nella consapevolezza che la ricomposizione del mondo del lavoro, oggi, passa necessariamente attraverso questi percorsi, individuando, laddove vi siano le condizioni, situazioni aziendali specifiche nelle quali la nostra azione sindacale può essere maggiormente efficace e in cui i possibili risultati positivi possono rappresentare un precedente importante per il territorio.

Fondamentale per la riuscita di un percorso di questa natura è la confederalità del nostro intervento, da tradursi nella capacità delle categorie coinvolte nello stesso sito produttivo di lavorare congiuntamente e di condividere obiettivi, strumenti e tempi.

 

c) La frammentazione e la precarizzazione del lavoro

La Legge 30 (meglio conosciuta come Legge Biagi ) del 2003 ha introdotto e normato quelli che vengono definiti “lavori atipici” con lo scopo dichiarato di favorire l’inserimento nel mondo del Lavoro in particolar modo dei giovani. Inutile dire che questo fine è stato miseramente fallito e, in realtà, la legge 30 non ha fatto altro che promuovere la precarietà del lavoro rendendo legittime forme contrattuali fino ad allora inesistenti.

Da quel momento, infatti, sono proliferati i Co.co. co, i Co. Co. Pro, le associazioni in partecipazione, il lavoro in somministrazione, il lavoro intermittente detto anche o a chiamata.

Riteniamo che sia compito del legislatore rimettere ordine nel mercato del lavoro e rimediare alla precarizzazione che abbiamo visto progressivamente aumentare in particolare in concomitanza con la crisi economica e produttiva che stiamo vivendo da alcuni anni a questa parte.

Nemmeno la cosiddetta “Legge Fornero” ( Legge 92 del 2012) che si prefiggeva di mettere ordine e regole più strette nel caos creato dall’uso e dell’abuso di questi contratti è riuscita nello scopo, peggiorando di fatto la situazione, in quanto è intervenuta in modo dirigistico sui contratti a tempo determinato; questo non ha prodotto i risultati sperati in termini di stabilizzazione , ma al contrario ha contribuito purtroppo ad aumentare il numero dei disoccupati .

Ora i problemi sono di due tipi: da una parte l’esigenza di mettere mano ad una legge che consente la precarizzazione e la frammentazione del lavoro, compito che lasciamo ai legislatori; dall’altra l’abuso che viene fatto di queste tipologie di contratti che vengono stipulati spesso ben oltre le casistiche e le regole poste nelle leggi.

Troppo spesso ci troviamo di fronte a Co. Co. Pro che mascherano lavori a tutti gli effetti subordinati o a finte associazioni in partecipazione o al ricorso a lavoratori con propria partita IVA che effettuano il medesimo lavoro dei lavoratori assunti regolarmente dall’azienda, oppure a lavoratori “a chiamata” che attendono invano la chiamata al lavoro pur avendo un contratto a tempo indeterminato e, quando la chiamata arriva, sovente viene registrata per la metà delle ore effettivamente lavorate nascondendo lavoro sommerso. Tutti questi sono abusi che rendono drammaticamente insostenibile la vita lavorativa dei soggetti interessati ( che sono sempre più numerosi) che si sentono indifesi e ricattabili.

Di questi abusi e dell’impegno di scovarli e denunciarli a livello locale la CGIL deve farsi carico in sinergia con gli Enti e le istituzioni del territorio.

Va ricercata con forza un’ azione coordinata con la Direzione Territoriale del Lavoro e con gli Enti Locali al fine di trovare meccanismi e strategie comuni per combattere almeno l’utilizzo illecito di queste forme contrattuali. Questa azione sinergica, di certo ricondurrebbe il loro utilizzo all’interno delle regole stabilite dal legislatore, riducendo al minimo gli abusi.

 

Abbiamo assistito, dal nostro osservatorio, ad una progressiva e diffusa frammentazione del lavoro. Nelle aziende ci troviamo di fronte a lavoratori a quali, pur svolgendo lo stesso tipo di mansioni o mansioni che richiedono competenze similari, vengono applicate forme contrattuali diverse con salari e diritti diversi. Troviamo lavoratori dipendenti a tempo indeterminato che lavorano fianco a fianco con lavoratori dipendenti da cooperative, con lavoratori in somministrazione che dipendono dalle Agenzie , a volte anche con lavoratori con contratto a progetto o addirittura con partita IVA.

Obiettivo del Sindacato, per sanare questa situazione paradossale dovuta all’ atomizzazione del lavoro, potrebbe essere l’ applicazione di contratti di “luogo” che garantiscano a tutti coloro che svolgono lo stesso lavoro nella medesima ditta di godere dello stesso compenso retributivo e degli stessi diritti.

 

e ) La riunificazione del lavoro: il ruolo delle RSU

Quest’ultima valutazione assume una valenza ancora più ampia se riferita al tema della contrattazione: dopo anni di riflessioni in materia e ampi slanci teorici, è giunto il momento di avviare una stagione contrattuale di sito e di filiera prevedendo, e determinandone le condizioni, l’individuazione di alcuni casi emblematici su cui concentrare le energie coinvolgendo categorie e, ancora più importante, le RSU.

 

L’accordo storico del 31 maggio 2013 in tema di rappresentanza e democrazia sindacale, produce ulteriore effetti sull’intero sistema di relazioni sindacali ed impone una riflessione e conseguenti decisioni rispetto al nostro modello organizzativo.

Certificazione della rappresentanza e verifica del consenso da parte delle lavoratrici e dei lavoratori unitamente alla rinnovata spinta verso un’azione unitaria, impone un’attenzione straordinaria nel sostenere questo processo, considerando fondamentale la nostra presenza organizzata prioritariamente nei luoghi di lavoro.

 

Per questi motivi diventa urgente un reale investimento politico e organizzativo verso i delegati RSU che si deve tradurre nella destinazione di risorse economiche e nel rafforzamento dei percorsi formativi rivolti ai delegati, quali attori fondamentali della nostra azione contrattuale ed immagine della CGIL sui posti di lavoro.

 

Da loro può e deve arrivare lo slancio necessario per rimettere i luoghi di lavoro al centro della nostra azione, ed è necessario quindi, oggi, predisporre piattaforme “di sito” che prevedano materie di interesse generali dell’insieme dei lavoratori presenti all’interno di uno stesso impianto, sito produttivo, luogo di lavoro, gettando così le basi per una ricomposizione dei processi lavorativi i cui tempi sono comunque da valutare nel medio-lungo periodo.

 

LE ATTIVITA’ PRODUTTIVE

a) “PIACENZA CITTA’ MANIFATTURIERA”

Il settore manifatturiero a Piacenza nonostante una pesante crisi economica mondiale e locale, risulta essere ancora un pilastro fondamentale dell’economia Piacentina, questo sia per la base occupazionale impiegata che per volumi di produzione, ed export dato dall’alta specializzazione e qualità dei prodotti costruiti.

Gli anni dal 2008 ad oggi hanno visto un forte ridimensionamento di importanti realtà locali e la dispersione di varie centinaia di posti di lavoro.

Va detto che, tra i vari comparti del settore, hanno avuto una buona tenuta quelle imprese che si muovono nel settore cosiddetto dell’oil e del gas che rappresentano più del 30% degli occupati e sono le prime aziende, a Piacenza, per volumi di prodotti esportati al mondo.

Rispetto alla possibilità di una difficile ripresa economica che possa dare qualche ritorno tangibile alle/i lavoratici/i della nostra provincia, un’idea potrebbe essere: “puntare sull’attrazione di nuovi investimenti con forme agevolate e il possibile riutilizzo di aree industriali dismesse”.

Essendo il manifatturiero piacentino caratterizzato storicamente da forti e consolidate competenze sia imprenditoriali che professionali, va implementato un modello di sviluppo e di relazioni tra Scuola – Sindacato – Impresa che metta al centro il lavoro e la “persona”.

Vero è che nonostante le vicende “FIAT”, a Piacenza le relazioni sindacali non hanno mai prodotto “strappi” tra le parti, ma bensì la condivisione che attraverso la contrattazione di 2° livello, si potesse e si possa costruire una dinamica ove l’occupazione, i diritti, la retribuzione dei lavoratori e la competizione del prodotto delle imprese non sia mai in contrapposizione.

 

Deve essere pertanto sostenuto con determinazione il ruolo di “Piacenza città manifatturiera” , con la consapevolezza che la presenza di insediamenti di tipo primario sostiene e stimola le attività indotte e favorisce il settore terziario e dei servizi:

Occorre il massimo impegno atto a favorire processi di qualificazione produttiva, di erogazione di servizi alle imprese , agevolando le aggregazioni per superare il nanismo industriale che caratterizza il nostro territorio, che, in alcuni settori ha tenuto abbastanza bene di fronte alla crisi, ma in altri ha subito un ridimensionamento molto pesante (quasi 800 imprese “andate in fumo” da maggio 2012 a maggio 2013).

 

b) Aree Produttive

Fra i nuovi e più rilevanti compiti che la Legge Regionale 20 assegna alla pianificazione provinciale l’individuazione degli ambiti specializzati per le attività produttive di rilievo sovra comunale; la stessa legge regionale prevede poi, sempre in considerazione della particolare rilevanza territoriale, che le aree produttive siano attuate mediante “ ACCORDI TERRITORIALI” e che le stesse, se di nuova previsione, assumono i caratteri propri delle aree ecologicamente attrezzate ( APEA ).

In fase istruttoria del PTCP è stata svolta una ricognizione delle aree produttive attuate e/o previste nel territorio provinciale piacentino: complessivamente la superficie territoriale destinata ad aree produttive sovra comunale è di circa 4.182 ha, distribuiti in 115 ambiti e 36 comuni su 48 totali.

Sul totale , la quota di aree produttive esistenti è di circa il 72% pari a 3034 ha ; nella localizzazione delle aree un ruolo preponderante è svolto dai Comuni di Piacenza, Fiorenzuola, Castelsangiovanni, Monticelli, Caorso, dove sono concentrate metà delle superfici produttive di tutta la provincia.

Rispetto alla presenza di Aree di riqualificazione (Aree Dismesse) l’indagine ha registrato una situazione di scarsa incidenza in termini complessivi. Il dato, circa 50 ha (l’ 1,15 della Superficie totale delle aree classificate produttive) è distribuito su 4 ambiti produttivi e 3 comuni e comprende aree di dimensioni non omogenee delle quali le principali sono costituite dall’ex Eridania di Sarmato e da aree ubicate nei Comuni di Cortemaggiore e S. Giorgio P.no.

Pertanto, la previsione di contenute espansioni degli ambiti comunali esistenti, oppure di nuove localizzazioni, può essere effettuata quando la domanda espressa dal sistema produttivo locale non trova risposta nel recupero di aree ed edifici da riqualificare, oppure nelle previsioni di espansione già in essere, privilegiando il recupero e la riqualificazione di aree dismesse , limitando la previsione di espansione produttive aggiuntive solo ai casi di documentata inadeguatezza o insufficienza dell’offerta di aree già esistenti, cercando di collocare le nuove aree in continuità con le aree già esistenti, tenendo conto dei seguenti fattori: sistema della mobilità e delle altre reti infrastrutturali,interferenza con zone ed elementi di interesse naturalistico-ambientale.

 

La domanda principale che dobbiamo porci in questo particolare periodo e contesto economico, è come si possano creare le condizioni favorevoli agli operatori interessati ad investire sul nostro territorio. Occorre promuovere, sviluppare e consolidare una fitta rete di relazioni tra il soggetto istituzionale chiamato a governare il territorio, i potenziali operatori economici, le Organizzazioni Sindacali, attraverso Accordi Territoriali che possano determinare progetti, programmi e strategie finalizzati a garantire lo sviluppo, la crescita occupazionale e la sicurezza degli operatori, come fra l’altro previsto dall’ Intesa a livello di “Commissione di Concertazione della Provincia di Piacenza“ del 20–4–2011, anche per favorire l’inserimento nella selezione del personale i lavoratori espulsi da altre aziende del territorio.

 

c) Settore Agro Alimentare

E’ un settore sul quale occorre investire perché il territorio offre prodotti di qualità, aziende e professionalità adeguate in grado di creare risultati positivi in termini produttivi ed occupazionali.

In questo settore Piacenza ha un singolare e significativo primato con i suoi tre prodotti DOP: coppa, pancetta, salame. Un bel primato avere tre DOP su 22 italiani; occorre pertanto promuovere di più e meglio per trainare e far conoscere nel mondo la qualità dei nostri prodotti DOP e dei nostri vini DOC. In particolare servirebbero più “ luoghi” dove conoscere, gustare ed acquistare i prodotti del nostro territorio; non basta la loro presenza all’ Autogrill sull’ Autostrada, o la prossima apertura della sede locale di Eataly, che rappresenta il modello forse più riuscito di valorizzazione dei prodotti alimentari di qualità, o la proposta di trasformare la Faggiola in un parco a tema dell’agroalimentare piacentino. Queste sono iniziative importanti, ma oggi i consumatori, i produttori ed i turisti chiedono nuovi spazi, dove l’incontro commerciale si integra con lo scambio culturale e la conoscenza del territorio. Per realizzare un progetto di questo tipo occorrono grandi sinergie tra tutti i soggetti ( istituzioni, categorie, operatori.. ) con l’ambizione di creare nuovi posti di lavoro, dando prospettive occupazionali ai ragazzi che frequentano con passione l’ Istituto e la Facoltà di Agraria, nella consapevolezza che questo settore con tutte le sue eccellenze ( salumi, pomodoro, vini, ortofrutta…. ) può davvero diventare un volano determinante per lo sviluppo del territorio.

Per ottenere dei risultati concreti è inoltre necessario che la competitività e la capacità delle nostre aziende di stare sul mercato passi attraverso il rafforzamento strategico degli strumenti associativi. In tale ambito il Consorzio Salumi Tipici Piacentini dovrebbe assumere, oltre al ruolo di valorizzazione e difesa dei 3 salumi sopracitati, una funzione di coordinamento attivo. Una sorta di centrale acquisti unica, per tutti i salumifici soci, degli elementi che oggi condizionano prevalentemente il prezzo del prodotto finito: l’ acquisto della carne di suino e dell’ Energia.

 

Piacenza e la sua provincia sono “ terre dei vini” da sempre. Anche in questo settore gli effetti della crisi economica hanno determinato un calo dei consumi sostanziale. Oggi la salvezza di molte delle nostre cantine è rappresentata non più dal consumo interno italiano, ma dalla capacità di esportazione, soprattutto nei paesi extra UE. E’ necessario, pertanto, che le nostre aziende siano adeguatamente supportate in questa difficile sfida di insediamento sui mercati internazionali.

 

In relazione alla grande manifestazione planetaria di EXPO 2015 in programma a Milano ( previsti circa 21.000.000 visitatori ) deve diventare l’occasione per ricadute positive anche sul territorio piacentino. Occorre avviare da subito (è già troppo tardi) una regia forte e condivisa per presentare proposte semplici e chiare, in grado di far diventare Piacenza a tutti gli effetti un quartiere attrezzato ed accogliente di EXPO 2015 in cui:

- in relazione alla profonda insoddisfazione da tutti condivisa, in particolare dai circa 2700 piacentini pendolari, per l’attuale collegamento tra Piacenza e Milano, si colga l’occasione di Expo 2015 per realizzare finalmente un collegamento ferroviario veloce ed efficiente, con frequenza diurna ogni mezzora, sulla linea Piacenza – Milano;

- si riesca a far assumere al comparto agroalimentare un meritato ruolo da protagonista.

 

Per quanto riguarda l’ Agricoltura è da evitare un ulteriore consumo di terreno agricolo pregiato, com’è quello del nostro territorio di pianura, di collina e, per certi versi anche di montagna. Il settore deve trovare una sua valorizzazione specifica anche in relazione alla sostanziale tenuta occupazionale nel corso di questa crisi drammatica, essendo l’unico nel territori piacentino con segno più ( +1% ) in termini di valore aggiunto; diventa, pertanto, strategico la valorizzazione delle eccellenze del settore, anche in relazione ad un incentivato sviluppo turistico del territorio. Con particolare riferimento al settore agricolo occorre mettere in campo un rinnovato impegno nella lotta al lavoro nero, all’elusione contributiva e ad un utilizzo distorto dei voucher.

 

INFRASTRUTTURE

a) La crisi dell’ Edilizia a Piacenza

L’Edilizia piacentina ha una tradizione importante, molte sono le imprese che operano a livello locale e nazionale : oggi questo patrimonio tecnico e professionale è seriamente in discussione e, se non ci sarà un’inversione di tendenza, si rischia quasi l’azzeramento. Infatti dai dati pubblicati il settore dei materiali per l’edilizia segna un -21,72 per cento del fatturato totale nel semestre scorso rispetto all’analogo semestre dell’anno passato. Se prendiamo in considerazione le ore lavorate in edilizia il dato è ancora più negativo: - 34,6 per cento, mentre gli addetti sono passati da 4200 della fase pre-crisi ai 1700 di oggi e neppure gli incentivi e gli sgravi per le ristrutturazioni portati al 65 per cento possono bastare per ridare vigore al settore che vede una stasi pressoché totale di interventi in opere pubbliche.

Crediamo che un’ attenta lettura dei processi evolutivi del settore dimostri come non sia possibile riprodurre il modello che ha caratterizzato il territorio negli anni precedenti alla crisi. Riteniamo che non sia più sostenibile la continua cementificazione del territorio e l’uso indiscriminato del suolo e che sia necessario ripensare nel suo insieme al modello economico fondato sull’uso illimitato delle risorse. Il recupero ed il riutilizzo delle aree dismesse, la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio, la sicurezza idrogeologica e sismica, sono solo alcuni esempi che possono costituire a livello locale il volano di un nuovo sviluppo a cui corrisponderebbero tante opere ( pubbliche e private ) di piccole e medie dimensioni che determinano lavoro vero per le Imprese.

 

b) Politiche della casa

Inoltre, per quanto riguarda nello specifico la realtà di Piacenza, la volontà di riqualificare alcune aree cittadine potrebbe diventare un formidabile strumento di valorizzazione , ma anche fattore di rilancio del lavoro nell’ambito delle costruzioni e del suo indotto, colpito pesantemente dalla crisi. In questo contesto è particolarmente importante la volontà, prevista dal PSC del Comune di Piacenza , di recuperare il patrimonio edilizio obsoleto e di dare nuovo impulso alle politiche abitative di edilizie residenziale sociale.

 

Di fronte ai dati degli sfratti per morosità ( + 33% nel 2012 rispetto al 2011 ) e delle esecuzioni immobiliari ( + 12,4 % nel 2012 rispetto al 2011 ) di cittadini che non riescono più a pagare il Mutuo della propria abitazione, è indispensabile rilanciare, dopo anni di sostanziale inerzia, la politica della casa come una priorità, attraverso piani di intervento sul versante innanzitutto dell’ Edilizia Pubblica (ERP) ; è indispensabile, a tale riguardo un piano di rilancio dell’edilizia sociale che utilizzi nell’immediato l’enorme patrimonio abitativo privato invenduto a causa della crisi ( solo a Piacenza circa 5000 unità immobiliari invendute ), o lasciato inutilizzato dai proprietari.

Sulle politiche della casa occorre definire con tutti i soggetti interessati un vero e proprio

Patto dell’ Abitare”

 

C ) Interventi Infrastrutturali

Per quanto riguarda gli interventi infrastrutturali sul territorio sono di una certa urgenza:

- la realizzazione di un Asse Pedemontano stradale che colleghi direttamente, senza passare dalla città capoluogo, la zona di Levante con quella di Ponente della nostra Provincia è una esigenza da condividere, ma con il minor utilizzo possibile di terreno agricolo, privilegiando la riqualificazione delle arterie stradali esistenti;

- la messa in sicurezza della S.S. 45 di Valtrebbia , attraverso un intervento complessivo ed armonico con il valore culturale e paesaggistico di quel territorio, prendendo spunto da quanto già realizzato sul versante genovese, riveste carattere di urgenza;

- la valorizzazione del Fiume Po che, dopo l’importante intervento finalizzato al superamento dello sbarramento di Isola Serafini in corso, può davvero assumere un ruolo importante per lo sviluppo del territorio, se le istituzioni e le forze sociali interessate saranno in grado di creare le condizioni per promuovere attività turistiche, sportive, ricreative e di trasporto.

 

INSEDIAMENTI

a) Settore del Commercio

La grave crisi occupazionale che stiamo attraversando determina ricadute negative anche nel settore del Commercio, con una contrazione significativa dei consumi. Questo ha causato situazioni di crisi occupazionali anche sul nostro territorio; infatti nei soli primi mesi del 2013 abbiamo gestito la chiusura di Gros Market, Simply, SMA e Grancasa per un totale di oltre 100 licenziamenti.

Dove non assistiamo a chiusure abbiamo situazioni in cui si tenta il governo di pesanti contrazioni di volumi di attività, tali da collocare buona parte del sistema commercio al limite della soglia di sopravvivenza economica.

 

In questo quadro assistiamo ad un continuo peggioramento delle condizioni dei lavoratori impiegati nella grande distribuzione e nel commercio in generale, anche alla luce del decreto liberalizzazioni degli orari commerciali, che ad oltre un anno dalla sua entrata in vigore non ha prodotto risultati tangibili, ne in termini di occupazione, ne di miglioramento delle condizioni economiche aziendali.

 

Le imprese, dal canto loro (soprattutto quelle della grande distribuzione), abituate ad anni in cui bastava aprire nuovi punti vendita per fare profitti, sono per lo più sprovviste di piani in grado di affrontare questa prima vera crisi del settore e non hanno strategie efficaci da presentare ai loro azionisti, l’unica leva su cui spingono è la diminuzione del costo del lavoro.

Leva ,che oltre, a peggiorare le condizioni di lavoro dei singoli dipendenti, causa la diminuzione del servizio alla clientela, portando il punto vendita in un gorgo spesso fatale.

 

Per affrontare tutto questa situazione, anche con riferimento all’ Intesa in sede di Commissione di Concertazione della Provincia di Piacenza del 20/4/2011, và valorizzato il confronto con le istituzioni (Comuni, Provincia), con riferimento alle concessioni di autorizzazioni amministrative alla vendita (licenze commerciali). Concessioni non sempre legate a un attenta valutazione del tessuto commerciale esistente in rapporto alle esigenze della cittadinanza, ma a, comunque reali, problematiche di bilanci comunali.

Questo ha prodotto un territorio saturo di aree commerciali medio grandi soprattutto alimentari (ricordiamo che il nostro piano commerciale non tiene conto di Auchan ipermercato lombardo, ma di fatto collocato a 500 metri dal centro di Piacenza), per cui occorre limitare il più possibile l’apertura di nuovi spazi commerciali, in particolare di dimensioni medio-grandi, in quanto non compatibili con l’attuale situazione economica delle famiglie, se non a discapito di nuove crisi aziendali ed occupazionali.

 

b) Logistica

Con riferimento al comparto della LOGISTICA, occorre sviluppare le infrastrutture ed i servizi necessari a fare del territorio la piattaforma che consenta il passaggio da area logistica di transito ad area logistica ad alta specializzazione, in cui possano trovare adeguata collocazione le figure professionali formate, ad esempio presso l’ ITIS nel Corso per la “ Mobilità sostenibile e la logistica “. L’ attività dei Poli della Logistica deve svilupparsi nel pieno rispetto dei Diritti dei Lavoratori, dei Profili Professionali e degli indirizzi dell’ Osservatorio sugli Appalti e delle relazioni sindacali.

 

c) Stabilimenti e Aree Militari

Con riferimento alla presenza degli stabilimenti e delle aree militari sul territorio piacentino, la scelta che verrà adottata deve coesistere con l’obiettivo del recupero di dette Aree anche sul versante ambientale/civico e con la continuità occupazionale e professionale del PMPN (ex Arsenale) da consolidare nel nuovo Piano Industriale.

 

d) Tecnopoli e sostegno alle reti di impresa

La costituzione dei Tecnopoli e il sostegno alle Reti di Impresa , promosso dalla Regione Emilia R., necessita di un forte impegno a livello locale affinchè possano dare risultati positivi. Nuove tecnologie, green economy e capacità di offrire prodotti sui mercati internazionali rappresentano la possibilità per il nostro tessuto produttivo di vedersi aprire un futuro.

Si chiede pertanto che la Provincia ( o chi per essa ), partendo dall’esperienza positiva dei Laboratori CESI, MUSP e LEAP, che hanno costituito il Tecnopolo di Piacenza, favorisca il trasferimento di conoscenze scientifiche e risultati di ricerca verso le realtà produttive .

Ugualmente l’esperienza delle Reti di Impresa deve essere rinforzata a livello locale cercando sinergie con tutti i soggetti istituzionali e le parti sociali, per promuovere azioni positive che orientino e supportino in tal senso le aziende e le realtà produttive e di servizi del territorio.

 

AMBIENTE e SICUREZZA

a) La Questione Ambientale

La questione ambientale va assunta dal territorio come fattore strategico partendo dal fatto che lo stesso è interessato da un alto rischio idro-geologico che richiede un intervento straordinario ed urgente per mettere in sicurezza le zone interessate.

E’ necessario sviluppare le aree a Parco attrezzato, non solo in un’ ottica di conservazione del nostro patrimonio ambientale e floro-faunistico, ma anche come volano di sviluppo della Montagna . Occorre passare dalla logica dell’ emergenza a quella della prevenzione e, come prevede il sopracitato Piano per il lavoro, creare lavoro legato ad attività di risanamento, bonifica, messa in sicurezza del territorio.

Da verificare in tal senso le possibilità di realizzare concretamente nella nostra realtà territoriale il progetto denominato “cooperative di comunità”, che potrebbe configurare un modello di nuovo protagonismo sociale proponendosi come infrastruttura che sul territorio arricchisce l’economia, rafforza la coesione, crea opportunità di lavoro.

b ) Sicurezza - Ruolo RLS

Nel corso degli ultimi anni, l’attenzione posta al tema sicurezza ed il lavoro prodotto a livello territoriale hanno contribuito ad un governo efficace del problema, a partire dal Protocollo “Le 8 ore più sicure della giornata” fino ad arrivare all’azione di prevenzione e informazione promossa e coordinata dal Tavolo Interistituzionale.

Occorre comunque tenere alta l’attenzione e prevedere una nuova stagione di iniziative, anche interne all’Organizzazione, per non vanificare il lavoro fin qui realizzato e rendere ancora più efficace l’intervento nel territorio.

La precarizzazione dei rapporti di lavoro e la sempre più frequente esternalizzazione dei servizi delle imprese, rendono oggi il tema del lavoro in appalto come il punto di sofferenza più elevato in materia di sicurezza e rischiano di produrre nel nostro territorio un’inversione di tendenza rispetto ai risultati conseguiti fin qui. La riduzione dell’attenzione verso le prescrizione previste dalle norme rischiano infatti di essere uno strumento per realizzare l’obiettivo delle riduzione del costo del lavoro da parte delle imprese meno responsabili, con il rischio di scaricare sui lavoratori i devastanti effetti del lavoro poco sicuro.

Occorre quindi pensare ad una stagione di azioni mirate di prevenzione e controllo in particolare nei settori di seguito indicati, con il coinvolgimento diretto delle Associazioni di Categoria e gli altri componenti del Tavolo Interistituzionale, finalizzata alla sensibilizzazione sull’argomento ed alla formazione specifica degli operatori coinvolti, individuando nella Logistica e nell’Edilizia i comparti dove più alto è il rischio dell’abbassamento dei livelli di tutela.

Il lavoro costante delle nostre Categorie deve sempre più raccordarsi a livello Confederale, individuando nella formazione lo strumento principe per garantire un nostro ruolo attivo all’interno dei posti di lavoro e rafforzando il rapporto con le Associazioni che su queste materie sono e possono essere ancora di più nostri punti di riferimento.

Le competenze e le esperienze garantite dall’ Associazione Ambiente e Lavoro ( ALER ) sono, in questo senso, strumenti fondamentali a cui guardare con sempre più attenzione, prevedendo anche l’opportunità della stipula di una convenzione apposita per consolidare il rapporto in essere.

 

Inoltre, nel nostro territorio è possibile pensare a due ulteriori filoni di iniziativa, anche alla luce della portata delle problematiche connesse:

Amianto: sono ancora tantissimi gli edifici, anche pubblici, interessati dalla presenza di amianto ed occorre garantire la massima attenzione verso le operazioni di bonifica che vengono di volta in volta messe in atto.

Sarebbe quindi importante prevedere la stipula, nell’ambito della Contrattazione Territoriale, di appositi Protocolli con i Comuni per l’effettuazione di queste lavorazioni, anche allo scopo di monitorare con la doverosa attenzione le Aziende esecutrici della rimozione e dello smaltimento al fine di evitare interventi pericolosi per i cittadini e per i lavoratori impiegati nelle operazioni.

Tutto questo, inoltre, sarebbe uno stimolo opportuno affinché i Comuni si dotino di Piani di Rimozione dell’amianto, coordinando queste iniziative con un attento monitoraggio dell’esistente, anche con il coinvolgimento della Scuola Edile.

Aflatossine: questo pericoloso cancerogeno naturale derivante da funghi e muffe alimentari, purtroppo non ancora tabellato ufficialmente come tale, è presente nelle filiere dei mangimifici, degli impianti di trattamento e di biogas. Essendo materia relativamente recente, occorre individuare da subito le opportune iniziative da predisporre anche nel nostro territorio per facilitare il riconoscimento tabellare del rischio cancerogeno di questa tossina e per controllare, all’interno delle filiere coinvolte, i processi lavorativi maggiormente esposti.

 

Il coinvolgimento degli RLS del settore e delle degli enti preposti al tema (AUSL Dipartimento di Prevenzione ) sarà un elemento indispensabile per un ‘azione realmente incisiva.

Per garantire un puntuale e preciso coordinamento delle nostre attività verrà costituito un apposito Dipartimento che, oltre alla presenza confederale rafforzata anche dalla presenza del Coordinatore RLST, sarà partecipato dalle Categorie, Inca e Uff. Danno Biologico.

E’ necessario, inoltre, avviare un confronto con le categorie per avviare realmente un rapporto confederale con i delegati RLS, ancora oggi inseriti con difficoltà nelle normali attività della Camera del Lavoro: la nascita di un coordinamento dei delegati non è più rinviabile, ed è lo strumento indispensabile per pensare ad una stagione di formazione e qualificazione sempre più urgente.

Questo percorso sarà propedeutico per il completamento delle attività previste dal precedente Piano di Lavoro: indagine su un campione di aziende, rapporto con il Tavolo Interistituzionale e con gli Enti preposti, intreccio sulle tematiche appalti con particolare riferimento ai settori più problematici, di logistica ed edilizia, anche alla luce del lavoro già avviato presso il Tavolo Interistituzionale.

 

LA QUESTIONE IMMIGRAZIONE

Il fenomeno migratorio è un processo consolidato e destinato a potenziarsi con il passare degli anni anche se spesso oggi le condizioni di questi lavoratori sono caratterizzate da precarietà o sfruttamento.

La questione immigrazione è una delle vere questione democratiche del nostro Paese. Una diversa politica sul punto è possibile e realistica a patto di dismettere definitivamente rappresentazioni apocalittiche dei fenomeni migratori che servono solo a fomentare le paure, che sulla spinta emotiva, portano a soluzioni del tutto inefficaci, tuttavia contrabbandate come ineluttabili.

L’insicurezza si sconfigge rafforzando lo stato sociale e superando la stessa precarietà del lavoro.

E’ infatti proprio in situazioni di incontro, di conoscenza e di convivenza che tutti possiamo sentirci più sicuri. Sappiamo questo perché sta nel nostro agire quotidiano e perché la migrazione è parte della storia del popolo italiano ed i cambiamenti epocali che hanno riguardato la società e il mercato del lavoro hanno inevitabilmente coinvolto la CGIL, perché il lavoro immigrato cambia la prospettiva sindacale e l’insieme della società.

La nostra Camera del Lavoro ha infatti una storia importante su questo versante alle spalle; infatti fin dal 1990 venne colta l’importanza della presenza degli immigrati nella nostra società e nel mondo del lavoro e da allora con un’azione quotidiana si sono favoriti percorsi di inclusione e di rappresentanza importanti per queste masse di lavoratori.

In tale direzione è importante l’iniziativa sviluppata in collaborazione con lo SPI relativa al

Corso Base di Alfabetizzazione” per immigrati presso la nostra Camera del Lavoro.

Ora si tratta di costituire il Dipartimento Immigrazione, attraverso una discussione che attraversi le categorie più interessate a questo fenomeno, perché ci sia una sede di analisi, di proposte e di sintesi della nostra attività di politica e di servizio, anche se la via maestra della partecipazione non è in organismi paralleli, ma nella presenza negli organismi generali con pari dignità.

La questione immigrazione deve essere presente pertanto anche all’interno della contrattazione sociale e nelle politiche contrattuali di primo e di secondo livello per affermare i fondamenti di una società interculturale. Occorrono piattaforme che individuino i problemi e le soluzioni che si riferiscono alla presenza dei migranti sul territorio (aumento della presenza, seconda generazione, ecc.). Partire da qui per ragionare di cultura, casa, salute, educazione, convivenza, accoglienza, sviluppando all’interno dei percorsi di negoziazione con le Istituzioni locali, un lavoro di analisi serio sul welfare locale e della composizione sociale oggi mutata, interpretando i nuovi bisogni espressi dal territorio.

Il territorio di Piacenza è divenuto negli ultimi anni uno dei più importanti poli logistici del nord Italia. Qui vede di gran lunga prevalere l’attività e la presenza di lavoratori migranti che hanno grandi fragilità culturali e sociali e spesso sono ricattabili dal punti di vista dei diritti contrattuali.

Dopo le proteste dei lavoratori immigrati di questi anni a fronte di condizioni contrattuali inaccettabili, la CGIL non si è limitata contrastare tali fenomeni di disgregazione contrattuale ma ha contrapposto una strategia di dura denuncia delle violazioni dei diritti, coinvolgendo sapientemente le Istituzioni locali nelle loro responsabilità di ispezione e regolazione del mercato del lavoro.

Ricordare brevemente questa vicenda serve per indicarci un altro nostro obiettivo; quello di continuare a perseguire quel progetto di re-insediamento organizzativo e di sviluppo della nostra presenza sul territorio che ci ha portato alla presenza in tante Camere del lavoro periferiche e all’apertura di una sede sindacale in Via Roma, quartiere del centro storico fortemente connotato dalla presenza di lavoratori e cittadini extracomunitari.

Qui si vuole segnare un forte investimento della nostra Camera del Lavoro, (attraverso anche il ruolo delle stesse Categorie), con un presidio attivo nel territorio stesso al fine di poterci avvicinare più direttamente ai problemi di coloro che vogliamo rappresentare con lo scopo di cercare di alleviare fenomeni di evidente disagio sociale.

Infine ( ma non per importanza ), come CGIL pensiamo che l’ Italia debba introdurre il meccanismo dello ius soli attraverso il quale riconoscere la cittadinanza italiana a chi è nato in Italia da genitori stranieri e a chi è arrivato piccolissimo nel nostro paese ed ha frequentato, da subito, le scuole italiane. Noi chiediamo uno ius soli ragionato e giusto che non provocherebbe nessun sconquasso al Paese. Anche, attraverso questo processo, occorre mettere le basi per costruire in questo paese una società più civile e responsabile per una migliore integrazione di tutti attraverso una nuova consapevolezza ed un forte cambiamento culturale.

 

24 settembre 2013