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FP CGIL Comparto funzioni centrali: in un documento consegnato all'On. De Micheli (PD) le richieste "piacentine"


Piacenza, 18.07.2011


La Manovra Economica che ha frettolosamente concluso l'iter parlamentare è, ancora una volta, un insieme di provvedimenti che si abbatte senza pietà sulle spalle dei cittadini.

A seguito della presentazione ufficiale della Manovra, abbiamo assistito a nette prese di posizione contrarie da parte dell'Anci, dell'Upi, della Conferenza Stato Regioni.
Quello che viene fortemente e giustamente contestato è l'effetto che i tagli indiscriminati imposti dalla Finanziaria avranno sui servizi, in primis quelli erogati dai Comuni e dal Servizio Sanitario e rivolti a tutti i cittadini e in particolar modo ai soggetti più deboli (tant'è che alcune Regioni, come la nostra, hanno deciso di non di applicare i ticket sanitari reintrodotti dalla Manovra).

In questi giorni è stata più volte richiamata l'attenzione sui tagli ai Comuni, alla Sanità, alla Scuola, alle pensioni. Misure inique che graveranno come sempre sulle spalle di chi ha meno, veicolando un'intera fetta di popolazione verso un progressivo e inarrestabile impoverimento.

C'è poi una fetta di popolazione che verrà colpita due volte da questa (come dalle precendenti) Manovra: i dipendenti pubblici. Cittadini che oltre a risentire da "utenti" dei tagli che verranno effettuati, dei rincari dei prezzi, dell'aumento inarrestabile del costo del petrolio, avevano già dovuto assistere con la finanziaria dell'anno scorso al blocco fino al 2013 del rinnovo dei contratti e ora devono fare i conti (che faticano sempre di più a tornare) con un ulteriore anno di blocco e - se leggono tra le righe - con la previsione di un ulteriore trienno di buio, dato che la finanziaria fissa per il triennio 2015-2017 i criteri per il calcolo dell'Indennità di Vacanza Contrattuale. Questo significa, in tre parole, TAGLI ALLE RETRIBUZIONI.

IL COMPARTO FUNZIONI CENTRALI DI QUESTA FP VUOLE MANTENERE ALTA L'ATTENZIONE SULLA DIFFICILE SITUAZIONE IN CUI VERSANO TUTTI I DIPENDENTI PUBBLICI, NON ESCLUSI I DIPENDENTI DIRETTI DELLO STATO.

Quando si parla di Ministeri, o di Enti Pubblici Non Economici, il pensiero dell'opinione pubblica corre subito ai politici o agli "alti papaveri" e ai loro privilegi.

Ma Stato e Parastato sono soprattutto quei lavoratori pubblici che, come i loro colleghi di Autonomie Locali, Scuola e Sanità, subiscono pesantemente le ripercussioni delle finanziarie che negli ultimi anni si sono particolarmente accanite sulle loro spalle.
Calcoli incrociati sui vari interventi ai danni delle retribuzioni ci dicono che i salari di questi lavoratori subiranno una perdita di potere d'acquisto che dal 2010 al 2014 è stimato in circa 6.313,00 ¤ per un lavoratore dei ministeri e 8.715,00 ¤ per un lavoratore degli enti pubblici non economici.
Senza contare i tempi lunghissimi con cui ogni anno vengono realizzati gli stanziamenti di risorse (sempre più esigue) per il pagamento del salario accessorio, o le lungaggini burocratiche con cui vengono portati avanti i concorsi pubblici o le procedure di sviluppo economico, che garantirebbero ai vincitori (che spesso attendono per anni la firma su un decreto) un minimo di miglioramento, oltre che di riconoscimento della professionalità, per non parlare di organici mai ridefiniti, uffici territoriali ospitati in palazzi pericolanti, sbandierate riforme e promesse di informatizzazione e snellimento che si scontrano con la realtà di fondi che mancano anche solo per l'acquisto della strumentazione, decreti che inceppano i meccanismi, firme che ritardano, uffici che vengono chiusi per legge senza prima avere effettuato una seria previsione di riorganizzazione.
Il Ministro per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione ha dichiarato percentuali di incremento delle retribuzioni dei dipendenti pubblici che sicuramente hanno colpito l'opinione pubblica alimentando l'accanimento contro "il fannullone".
Si è però dimenticato di ricordare da quali livelli stipendiali si è partiti e a quanto si è attestata, dopo questi incrementi faraonici, la retribuzione dei lavoratori pubblici: una media di 1.200-1.300 euro al mese.




Sono cifre che, in assenza di un altro stipendio, e con un tale incremento del costo della vita e dei beni energetici importati (che, tanto per ricordarlo, non vengono considerati nel calcolo per il presunto adeguamento dei rinnovi contrattuali - peraltro totalmente bloccati - al costo della vita) non permettono ad una famiglia - magari con un figlio che va a scuola, o un anziano che necessita di cure (al di là dei farmaci in esenzione, ci si dimentica che articoli come garze, cotone, alimenti o detergenti particolari, i cui costi sono elevatissimi, e che necessitano spesso in grandi quantità, quasi sempre non possono beneficiare di alcuna esenzione) - di vivere degnamente. E nemmeno di "spendere per far girare l'economia", come spesso ci ricorda il nostro Primo Ministro. Spendere cosa, quali soldi, se in molti casi non sono sufficienti nemmeno per pagare l'affitto e le bollette?

E nonostante tutto ciò I LAVORATORI DELLO STATO CONTINUANO AD IMPEGNARSI PER GARANTIRE SERVIZI ALL'UTENZA E LA BUONA FUNZIONALITÀ DEI LORO UFFICI e, di conseguenza, di tutta la macchina statale che, seppure lenta e spesso farraginosa (ma non certo per scelta dei lavoratori) continua comunque ad assicurare i propri servizi a tutti.

Va sottolineato, infatti, come scelte evidentemente fatte in modo non ponderato o effettuate per interessi "altri" rispetto a quelli del bene comune, hanno portato diversi settori ministeriali a muoversi in situazioni di disagio, di carenze di organico, di organizzazioni deleterie per il buon andamento della Cosa Pubblica e anche settori, come quello legato ai beni culturali (per fare solo un esempio) che potrebbero in questa situazione di crisi fare da traino per la ripresa del nostro Paese, sono invece stati ridotti, da scelte governative scriteriate e quantomeno superficiali, ad apparati barocchi il cui peso insostenibile mortifica sia i lavoratori, sia la qualità dell'attività rivolta alla cittadinanza.

Il lavoro dei dipendenti ministeriali rimane per lo più "dietro le quinte": dietro al funzionamento di ciò che viene utilizzato dai cittadini (ad esempio scuola, sanità, giustizia, fruizione culturale) ci sono persone, lavoratori, che si spendono nonostante i blocchi contrattuali, le limitazioni al turn-over, organizzazioni spesso malgestite "dall'alto", l'imposizione di dirigenze spesso non all'altezza della situazione.
Tutte questioni che non dovrebbero passare inosservate da parte di un Governo che dice di voler riformare e sanare le carenze del lavoro pubblico.

È, inoltre, importante ricordare come le recenti norme sulla revisione dei part-time introdotte dal Collegato Lavoro 2010 abbiano messo ulteriormente in difficoltà soprattutto le famiglie più "deboli", ossia quelle in cui le lavoratrici avevano necessariamente scelto questa forma di lavoro per poter da un lato garantire un'entrata economica alla famiglia (e sappiamo di questi tempi quanto sia importante avere un guadagno anche minimo su cui poter contare), e dall'altro gestire situazioni difficili in presenza di anziani e/o disabili che richiedono assistenza costante (a fronte, giova ricordarlo, di servizi sociali sempre più incerti e di sempre più difficile accesso grazie alle scelte in chiave privatistica di questo governo).

Sono le donne le più colpite dalle "riforme" di questi anni: sono loro che, oltre a lavorare sia per necessità, sia - in modo assolutamente legittimo - per avere un ruolo nella società, per lo più si fanno carico di seguire i figli, prendersi cura dei genitori e dei suoceri anziani e spesso malati, accudire i nipoti, badare alla casa e alla famiglia. Da qualche anno si sono viste allungare l'età pensionabile e sono costrette a protrarre l'attività lavorativa fino a 65 anni di età, spesso in presenza di carichi familiari gravosi e annosi, con situazioni pesanti ai limiti dell'esaurimento psicofisico.

Per non parlare dei giovani, che entrano nel mondo del lavoro sempre più tardi, ci entrano da precari e molto difficilmente riusciranno a cambiare questa condizione. Molto difficilmente riusciranno a costruirsi un futuro, un'autonomia, una famiglia. E là dove dovessero riuscirci grazie ai sacrifici dei loro genitori o - sempre più spesso - dei nonni che si fanno garanti, difficilmente avranno la possibilità di garantire la stessa cosa ai loro figli.

Viene da chiedersi come possa questo Governo continuare a sostenere che al centro della propria azione ci sono le famiglie.
Le famiglie sono anche quelle dei dipendenti pubblici, delle lavoratrici e dei lavoratori dei Ministeri, delle Agenzie Fiscali, del Parastato, oltre che della Sanità e delle Autonomie Locali.






È palese, al contrario, che al Governo prema molto di più tutelare i propri interessi economici e quelli di una cerchia relativamente ristretta di ricchi che in qualche modo garantisono la sua esistenza, che non il benessere del Paese, dei suoi abitanti e di quelli che verranno dopo.

Le famiglie non ce la fanno quasi più. Questo Paese è avviato in caduta libera lungo una china molto pericolosa - e non è detto che questa manovra così iniqua possa arrestarla - mentre esponenti del Governo gozzovigliano e l'Opposizione, presa da tante questioni sicuramente più importanti, spesso sembra anch'essa lontana dai problemi dei dipendenti pubblici.
Problemi e difficoltà restano ignorati, come viene ignorato il principio di equità che dovrebbe trovare applicazione nella Manovra.

Sembra di percepire, in generale - probabilmente proprio a causa della considerazione che ne ha l'opinione pubblica (in molti casi debitamente "ammaestrata" e che, tradotta, significa voti), una sorta di "timore" nei confronti delle tutele dei lavoratori pubblici, una categoria criminalizzata e perciò scomoda.
Ma si tratta un "popolo" - soprattutto per quanto riguarda gli statali - composto per lo più da ultracinquantenni (e la maggior parte donne) incolpati di tutti i guai della funzione pubblica ed esposti al pubblico ludibrio, che si sono visti ridurre in blocco tutele e diritti (sono senza contratto dal 2010 e lo saranno, si prevede, almeno fino al 2017) in nome di una vigliacca e indiscriminata caccia al fannullone.
Una categoria di lavoratori, tra l'altro, che proprio a causa di questa manovra vede il traguardo della pensione sempre più lontano. Donne e uomini che hanno quasi raggiunto la soglia dei 40 anni di contribuzione e che già devono regalare un anno della loro vita allo Stato (il 41° anno infatti non permette ai lavoratori di maturare contributi per la pensione), si sono visti aggiungere un ulteriore periodo di permanenza al lavoro di uno, due, tre mesi a seconda dell'anno di maturazione.
Difficilmente si potrà contare su una pensione decorosa, dopo anni di trattenute sullo stipendio a questo scopo, e nemmeno sui benefici della previdenza complementare come possono fare i dipendenti privati: il fondo integrativo per i dipendenti pubblici esiste, ma è soltato una scatola vuota.

Perché non esiste lo stesso timore quando invece si studiano leggi ad hoc per tutelare sempre e soltanto gli interessi (non i diritti, ma gli interessi) di chi ha di più? Di pochi "potenti" che ormai sfacciatamente ostentano la propria deprecabile condotta alla faccia dell'onestà e dell'integrità, o la propria ricchezza (ma non altrettanto il proprio "modello Unico") senza un minimo di pudore, alla faccia di chi porta a casa uno stipendio sempre più inadeguato al costo della vita?

Perché non far pagare a tutti secondo le rispettive possibilità? Perché chiedere alle Agenzie Fiscali di non essere "troppo fiscali" o addirittura "persecutori", anziché spronare chi lavora per la legalità dello Stato ad applicare rigorosamente la legge e portare alla luce tutto il sommerso?

Quando la cosiddetta "classe media" non ce la farà davvero più, quando non arriveremo più a fine mese nemmeno facendo le capriole e saltando il pasto per poter pagare la spesa con il buono mensa (finché ce lo lasceranno), a chi metteranno le mani in tasca? Ma soprattutto, come potrà questo Paese rialzarsi?



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